Prologo

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La Profezia

Le radici degli alberi verranno strappate dalla terra e le colombe e i corvi saranno risucchiati da quel moto vorticoso.

Lacrime di sangue abbasseranno il soffio della vita e ogni lume verrà oscurato dalla sua ombra.

Nel rombo sacro sprofondato nell’Abisso continuerà a mutare il seme degli Dei che indica la via, percorrendo avanti e indietro le cinque strade indicate.

Pochi lo riconosceranno, pochissimi lo ameranno.

Il potere della spada vincerà quello dell’aratro e i nuovi Dei conosceranno la gloria del loro impero, incidendolo in un simbolo fallace.

Il tempo sarà un fantasma evanescente.

La vita e la morte si cambieranno di posto e nessuno si accorgerà della novità perché il serpente biforcuto nasconderà l’evento, inabissandolo fra le sue spire.

Alcune fra le Stelle più brillanti della volta celeste, riconoscendo il seme degli Dei, permetteranno agli Antenati di risorgere dalle loro bare di cristallo.

E la morte le guarderà negli occhi. 


***

Le stelle illuminavano il buio di una notte senza confini, rendendo meno pesante il faticoso viaggio che Thoth aveva intrapreso per raggiungere la montagna di Haturi, situata a Nord-Est delle Terre dei Barbari.

Era in cammino ormai da diversi giorni in una solitudine che a tratti rendeva inquietante il percorso. Le cime innevate di Haturi si stagliavano maestose oltre la pianura cespugliosa in certi punti, ma perlopiù priva di vegetazione.

Si fermò davanti ad una grande quercia per permettere al cavallo di riposare, smontò puntellando a terra il bastone d’argento, suo inseparabile compagno di vita e si sedette appoggiandosi al tronco dell’albero.

Guardò ancora una volta la preziosa chiave d’oro massiccio a forma romboidale che portava appesa al collo: la prese fra le mani stringendola in un gesto di protezione.

Riandò con il pensiero, cullato dall’abbondanza di tempo, all’inizio della sua storia.

Thotme, suo padre, era il Gran Maestro della Confraternita dei Maghi Neri e si era accoppiato a sua madre, aspirante iniziata dei Maghi Bianchi.

Non sarebbe mai dovuto accadere un evento del genere; era come unire geneticamente due specie differenti di animali: le conseguenze non erano prevedibili.

L’aristocrazia dei Neri e quella dei Bianchi avevano raggiunto i confini di un continuum d’opposta energia che si respinge-va con vigore in proporzione al grado d’impurità dei primi e di purezza dei secondi.

I vertici dei Maghi Bianchi sempre a contatto con il Fuoco Sacro erano costretti ad indossare perennemente, per poter interagire con ogni altro individuo, degli appositi bracciali composti da svariate leghe di cristallo ed incisi con una potente formula magica.

Il contatto privo di schermatura avrebbe causato la morte o l’invalidità permanente nei loro interlocutori, investendoli con una scarica energetica simile a quella prodotta dai fulmini.

Ma il destino aveva remato contro le consuetudini del popolo di Atlantide, determinando l’evento che avrebbe dato inizio alla vita di Thoth, ma anche ad un futuro davanti al quale gli Antenati avevano sempre messo in guardia.

Sua madre in origine si chiamava Mahina e gli aveva raccontato che si era congiunta a Thotme durante il raduno annuale della festa di Bolimeth.

Per l’occasione ogni divergenza veniva messa da parte e si celebrava l’arrivo d’una primavera che avrebbe portato i frutti della cova dell’inverno. 

A Bolimeth si celebrava l’equinozio di primavera, giorno in cui il dì e la notte erano equidistanti in ogni punto del pianeta.

I due Soli di Atlantide, in congiunzione fra loro, determinavano un equilibrio energetico perfetto fra il dentro ed il fuori del pianeta, provocando in questo modo un potente vettore energetico in grado di caricare positivamente ogni abitante di Atlantide per tutto l’anno successivo.

L’energia del Sole esterno era fonte di calore e luce, quella del Sole interno, invece, produceva energia magnetica che gli atlantidei utilizzavano come fonte primaria per ogni tipo d’attività.

Era importante per i Bianchi e lo era in egual misura per i Neri, tanto che ogni casta rispettava la tregua senza condurre alcun tipo di guerra o battaglia personale.

La Confraternita dei Bianchi e quella dei Neri diventavano un’unica popolazione festante che rendeva omaggio all’unità della vita.

La capitale di Atlantide era Keor, situata nell’isola di Undal ed era la sede principale dei Bianchi.

Undal era il centro attorno al quale ruotavano altri nove anelli di terra: i Distretti di Atlantide. Ogni Distretto era bagnato da altrettanti circoli d’acqua che li separavano l’uno dall’altro.

Quattro grandi ponti principali costruiti in linea con i punti cardinali, univano le circonferenze di terra fra loro e ad Undal, mentre altri piccoli ponticelli sparsi ovunque venivano usati per i piccoli trasporti od i pedaggi.

 

 

Distretti di Atlantide ESCAPE='HTML'

L’intero territorio atlantideo era bagnato dal mare e protetto dalla Terra dei Barbari da una gigantesca barriera circolare di roccia e corallo che lo rendeva inespugnabile a qualsiasi tentativo di conquista.

L’unica via d’accesso percorribile era lo Stretto di Eschis ed Atlantide, grazie a questa formidabile configurazione territoriale, fiorì al di sopra d’ogni altra popolazione del pianeta.

In quel giorno di festa le vie e le piazze dei dieci Distretti risuonavano dei rumori e della gioia degli abitanti affaccendati nei preparativi: ogni angolo era stato sapientemente addobbato con luci multicolori e decorazioni d’ogni genere.

Le tipiche casette ad un piano di Keor possedevano graziosi tetti a cupola multicolore e venivano costruite con una roccia calcarea biancastra la cui durezza e resistenza cresceva nel tempo; il colore iniziale con il passare degli anni mutava in una calda tonalità mielata.

A Bolimeth le porte e le finestre d’ogni abitazione rimanevano spalancate in modo da permettere all’energia della festa d’invadere gli ambienti interni.

L’aria era carica d’elettricità emotiva, la natura stava esplodendo in svariate forme e colori e le speranze degli atlantidei si rinnovavano dopo il sonnecchiare dell’inverno.

Mahina aveva diciannove anni ed era nel pieno sbocciare della propria giovinezza.

Si era acconciata i lunghi ricci biondi in una treccia morbida e l’aveva decorata con minuscole perle bianche che facevano concorrenza alla pelle nivea del volto. I grandi occhi languidi color acquamarina erano perennemente accesi da una luce purissima che creava negli interlocutori un immediato senso di benessere e serenità.

La sua indole apparentemente pacifica nascondeva in realtà una notevole forza di carattere che nel corso della vita le sarebbe stata molto utile.

Per quel giorno festoso aveva indossato una lunga veste di lino bianco su cui scivolava mollemente un’elaborata cintura dorata e le sue forme piene e sode premevano con discrezione contro il tessuto, esaltando lo sbocciare della sua femminilità.

Si sentiva splendida e piena di vita mentre tornava al Tempio di Mutef per portare gli addobbi floreali che sua madre aveva ordinato in vista della cerimonia in onore degli Sposi Ce-lesti Mut e Tef, a cui era dedicata la costruzione sacra.

L’imponente edificio veniva chiamato più spesso Tempio di Smeraldo, a causa dell’enorme cupola verde sgargiante che lo sovrastava.

Giunta alla piazza della città si fermò ad ammirare la splendida Fontana Immacolata collocata nel centro: era stata costruita alcuni secoli prima da Kolos, un artista della storia di Atlantide divenuto immortale per l’ingegnosità delle sue opere.

L’acqua limpida ed azzurrina proveniva dalla fonte sotterranea di Keor ed era ricca di proprietà magiche e medicamento-se. I Bianchi più facoltosi si occupavano di preservarne la purezza e ne erano i custodi.

L’acqua, chiamata Fuoco Sacro, costituiva uno dei motivi di discordia con i Neri che avrebbero voluto utilizzarla senza gli impedimenti a cui i custodi li obbligavano.

I Maghi Bianchi sapevano che un uso sconsiderato del Fuoco Sacro ne avrebbe minato le proprietà e soprattutto avrebbe potuto portare alla pazzia ed alla distruzione interi popoli se non fosse stato impiegato con sapienza e ponderatezza.

Solo le più alte cariche della loro Confraternita riuscivano a maneggiarlo senza venirne attratte in modo lussurioso. 

I custodi, avendo dominato attraverso intense pratiche spirituali le proprie passioni, non venivano toccati dalla grande potenza emanata dal Fuoco Sacro.

Nessun Nero avrebbe potuto avvicinarsi senza caderne vittima, nemmeno Thotme con tutta la sua sapienza, poiché le ombre presenti nel suo spirito avrebbero inevitabilmente iniziato a giocare con la verità, deformandola con il volto della menzogna.

Questa Prima Verità era conosciuta solo dagli Eletti, coloro i quali erano destinati all’Oltre.

Il luogo d’origine del Fuoco Sacro veniva mantenuto segreto e protetto da una formula magica che ne occultava l’entrata.

Mahina si fermò al bordo della fontana, appoggiò i fiori accanto a sé e si rinfrescò il volto con l’acqua benedetta.

Una voce bassa e profonda la costrinse a voltarsi: gli occhi limpidi della ragazza sprofondarono in quelli oscuri del Gran Maestro Nero ed il suo destino, insieme a quello di Atlantide, mutò per sempre.