16) Un incontro sorprendente

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Trascus si sentiva più tranquillo: avere individuato la posizione degli inseguitori gli permetteva d’ideare un piano, ma il loro numero era una variabile che poteva rivelarsi fatale e doveva in qualche modo riuscire a quantificarla.

S’avvicinò a Phale per metterla al corrente delle proprie intenzione mentre Gelkares ed Otre conversavano di cucina a distanza di qualche metro.

«Phale stasera mi allontanerò, ma dovrai darmi una mano.»

«Allontanarti? Perché?» gli chiese sottovoce.

«Devo raggiungere i compagni di Otre per calcolarne il numero. Non posso ideare alcun piano se non ho elementi precisi su cui lavorare.»

«Ma come farai? Otre dorme sonoramente in genere, ma non possiamo fidarci.»

«Infatti non dobbiamo farlo. Prima di scendere dalla nave ho rubato una boccetta di sonnifero dalla sua cambusa.» affermò con soddisfazione.

«Dimmi cosa devo fare!»

Gli occhi di Phale si trattennero più del dovuto in quelli del giovane e Trascus come un falco ne intercettò le emozioni: comprese il combattimento che la lacerava, fra l’istinto che le intimava di lasciarsi andare e la ragione che le sbarrava la via.

Non riusciva a comprendere pienamente cosa significasse appartenere ai Bianchi, ma aveva capito che non erano diversi dagli altri uomini: provavano gli stessi turbamenti, le medesime emozioni che tuttavia, trovandosi in un piano superiore di coscienza, non avevano lo stesso potere come avveniva nei comuni mortali.

«Io lo distrarrò con la scusa della caccia mentre tu gli verserai nella borraccia metà della dose: se mi sbrigo dovrebbe essere sufficiente. Ci stanno seguendo ad una distanza costante di un chilometro. Dovrei riuscire ad andare e tornare prima che Otre si svegli. Tra un’oretta arriveremo lì.» affermò indicando con la testa in modo impercettibile un punto all’orizzonte. «È una zona boscosa e ci permetterà di nasconderci meglio quando scapperemo. È però indispensabile che io conosca l’entità delle forze in gioco.»

Phale ammirò la capacità strategica che stava dimostrando ma cercò di non far trapelare i propri pensieri, fissando lo sguardo a terra.

«Non ci sono problemi Trascus, lo farò. Quanto pensi durerà l’effetto del sonnifero?»

«Beh calcolando quanto ha dormito Gelkares nella nave, direi che abbiamo un paio d’ore a disposizione e se mi sbrigo sono più che sufficienti per andare e tornare.»

«Considera che potremmo avere meno tempo a disposizione, Otre è molto più grosso di Gelky e richiede dosi maggiori di sonnifero. Però è anche un alcolista ed il suo metabolismo lavora più lentamente, avendo il fegato compromesso. Facendo una stima in difetto credo che avrai un’oretta e mezza a disposizione.» concluse Phale ringraziando le lezioni di medicina ricevute al Tempio. «Credi di farcela?»

«Penso di sì, guarda che muscoli!» affermò gonfiandoli con evidente orgoglio. «La vita da schiavo è dura, ma il risultato… ammira!» la provocò ridendo.

Phale dissimulò il proprio interesse scrollando la testa divertita, ma più d’una volta si era soffermata ad ammirare il suo corpo atletico caratterizzato da muscoli guizzanti ed armoniosi.

«Mi sono accorto dei tuoi sguardi, cosa credi?» la canzonò il ragazzo facendola sprofondare in un abisso d’imbarazzo. «Tranquilla, non ho intenzione d’approfittare delle tue debolezze.» proseguì divertito dalla reazione di Phale che punta sul vivo s’irrigidì serrando le labbra.

«Non credo sia un argomento di cui dovremmo occuparci, ne abbiamo già parlato e la mia decisione è irrevocabile.»

«Quando alzi il mento in quel modo sei ancora più adorabile, ti bacerei tutta!» le rispose per nulla scoraggiato.

«Cerca di finirla o mi arrabbio!» s’infuriò alzando il tono di voce.

Gelkares s’accostò a loro incuriosita.

«State litigando o cosa?»

Trascus faticava a reprimere l’ilarità.

«Non stiamo facendo assolutamente niente!» rispose secca Phale.

Li lasciò soli e raggiunse Otre che in quel momento le appariva meno pericoloso.

«Stavate litigando?»

«Assolutamente no: la tua amica è solo un po’ permalosa.»

«Chi, Phale? Mi sembra strano, ti assicuro che non è una sua caratteristica, la conosco da quando eravamo piccole.»

«Sarà la gravidanza» le suggerì strizzandole l’occhio «probabilmente gli ormoni in alcune femmine fanno questo effetto.»

La risposta sembrò soddisfarla, ma lo prese sottobraccio per confermare il suo dominio.

«Sono felice di essere insieme a te, mi fai sentire la donna più sicura del mondo.» tubò.

Il divertimento di Trascus si spezzò davanti al suo civettare e si sentì investito dalla ormai palese sensazione di fastidio che provava quando si trovava vicino a lei; non le perdonava di essere la causa principale del rifiuto della donna che amava.

«Guarda, siamo arrivati! Ora possiamo stare più tranquilli, abbiamo più possibilità di nasconderci se accadesse qualcosa.» indicò con il braccio l’inizio della foresta e si svincolò dall’abbraccio.

Una fitta muraglia di alte latifoglie sempreverdi spezzava bruscamente il brullo paesaggio che li aveva accompagnati fino a quel momento e fu un piacevole cambiamento nonostante la forte umidità trattenuta dalle fronde degli alberi.

Il sottobosco rendeva a tratti difficile il cammino e la strada era spesso sbarrata da giovani alberi e felci ma il canto degli uccelli, il verso di svariate specie di animali, il profumo della vegetazione ed il cambiamento di temperatura, resero più spensierati gli animi.

Gelkares e Phale alla vista di numerose erbe medicinali ne approfittarono per fare una piccola scorta in caso di necessità, rallentando il cammino e provocando l’ira di Otre.

«Non siamo venuti qui a raccogliere fiori ragazze mie!»

«Dai Otre, non fare il brontolone! Lasciaci raccogliere queste erbe, non sono così facili da trovare e potrebbero servire! Chissà che animali feroci girano da queste parti!» lo canzonò Gelkares che era entrata nelle sue simpatie.

«Donne! Basta che non rallentiate troppo il cammino!» brontolò arrendendosi alla velata seduzione della giovane.

«Guarda Phale!» Gelkares gridò eccitata voltandosi verso l’amica ed indicando un punto sotto un grande albero dalla corteccia rugosa. «Quel fungo non è l’amycas, quello che provoca allucinazioni e…» non terminò la frase sapendo che avrebbe capito l’oggetto omesso.

«Ehi… ehi… ragazze! State calme e tranquille, niente pozioni o stramberie varie fino a che ci sono io!» intervenne Otre preoccupato che potessero avere un’arma del genere a loro disposizione.

«Tranquillo Otre, non prenderemo quel fungo. Stiamo raccogliendo solo erbe medicinali che potrebbero servirci nel caso ci ferissimo.»

Gelkares gli si pose davanti per nascondere Trascus e permettergli di raccogliere il fungo.

Camminarono tranquillamente per un altro tratto, mancavano ancora un paio d’ore al tramonto quando un urlo disperato squarciò il silenzio, bloccandoli sul posto.

«Cosa succede?»

«Non lo so! Otre vieni con me, andiamo a vedere!» Trascus sentì i sensi tendersi per l’eccitazione.

«Non se ne parla nemmeno» intervenne Phale «dove vai tu vengo anch’io!»

«Non sappiamo di cosa si tratti e non è il caso esporre anche voi ad un potenziale pericolo!»

«Non importa, io vi seguo e anche Gelky, vero?» chiese all’amica sfidando gli ordini e costringendolo a soccombere.

Otre era decisamente meno felice d’andare a verificare l’origine delle grida, ma fece buon viso a cattivo gioco, ponendosi vilmente in coda al gruppo. Il trambusto divenne più evidente mano a mano che s’avvicinavano alla fonte; quando la raggiunsero, protetti da una siepe di rovi, Phale rimase a bocca aperta.

«Non ci posso credere, è davvero quello che penso?» chiese osservando la scena che avevano dinanzi agli occhi.

Trascus assentì mestamente tradendo la propria compassione: si trattava d’una femmina di centauro dai lunghi capelli corvini ed il manto pezzato. Giaceva accasciata a terra mentre tre giovani guerrieri ricoperti di tatuaggi, esultavano davanti al cadavere.

«È un bottino di caccia!» sussurrò Trascus.

Con un coltello dalla lama affilatissima uno dei guerrieri stava incidendo lo scalpo della centaura con una precisione che denunciava senza possibilità d’errore la sua lunga esperienza. Il grido di vittoria e l’esposizione al cielo del trofeo posero fine al macabro rito.

«Santissima Dea!» Phale, paralizzata in un muto orrore, non riusciva a staccare gli occhi dalla giovane centaura e Gelkares vomitò.

Poco distante dai guerrieri un giovane leopardo attendeva bramoso il proprio turno per avventarsi sulla carcassa del cadavere.

Un cucciolo di centauro dal manto color cannella entrò in scena, correndo disperato verso il corpo della madre. Alla vista della nuova preda i guerrieri tornarono sui loro passi ridendo sguaiatamente.

«Non puoi lasciare che lo uccidano Trascus, ti prego, fa qualcosa!» lo implorò Phale.

Il giovane non aveva bisogno d’essere incalzato in tal senso, un cucciolo era tale per lui indipendentemente dalla specie d’appartenenza e senza esitare s’interpose tra il centauro in miniatura ed i guerrieri, sfidandoli apertamente.

«Corpo di mille trichechi!» imprecò Otre pensando all’oro che rischiava di sfumargli dalle mani se Trascus fosse morto.

Lo seguì più per interesse che per reale desiderio di salvare un cucciolo in pericolo e gli si affiancò in posizione di combattimento costringendo i guerrieri ad una parziale ritirata; si trattò di qualche istante, con un grido minaccioso s’avventarono contro i nuovi venuti, ma la freccia di Trascus perforò con precisione il petto di quello che gli sembrava il più aggressivo, colpendolo al cuore.

I due guerrieri rimasti si scagliarono corpo a corpo su di lui facendogli perdere l’arco dalle mani, ma Trascus estrasse velocemente il pugnale che portava legato alla caviglia e provocò una profonda ferita alla coscia di uno dei due, che mollò la presa con un grido di dolore.

Con un colpo basso inaspettato si liberò dell’avversario che incombeva su di lui e lo fronteggiò nuovamente schivando per un pelo la freccia lanciata dal secondo guerriero.

Otre intervenne avventandosi su quest’ultimo e con un colpo fulmineo gli tolse l’arco dalle mani mentre Trascus si lanciava in un corpo a corpo furioso contro il proprio avversario.

Quando il piede della gamba tesa del guerriero lo spinse con violenza contro il tronco d’un albero, Trascus avvertì le ossa spaccarsi dal dolore, ma si riprese all’istante sorretto da una copiosa scarica d’adrenalina.

Approfittando della spinta contraria si lanciò con il doppio della forza sull’avversario, piantandogli il coltello al centro degli occhi. Avvertì la vita dell’uomo defluire dal corpo mentre s’accasciava a terra in un ultimo abbraccio mortale.

Si voltò in una frazione di secondo verso Otre constatando che era in svantaggio e ferito ad un braccio. Con un urlo selvaggio si precipitò in suo aiuto ed in una sola mossa sopraffece l’avversario.

I tre cadaveri giacevano a terra mentre il piccolo centauro paralizzato dal terrore, con gli enormi occhi castani inondati dalle lacrime, piangeva disperato accanto al corpo inerte della madre.

Phale e Gelkares uscirono dal nascondiglio guardandolo con compassione e cercando di avvicinarsi senza spaventarlo.

«Tranquillo piccolo, non vogliamo farti del male.»

Il cucciolo le avvertì con un cenno della testa disperato di non avvicinarsi e le ragazze si fermarono a qualche metro di distanza per non intimorirlo maggiormente.

«Un altro centauro!» indicò Otre vedendolo sbucare dagli alberi.

Un magnifico esemplare di maschio dal manto vanigliato stava avanzando velocemente verso la propria famiglia. Il bel viso coperto da una fitta barba color del grano maturo era coperto di lacrime mentre un altro cucciolo, praticamente identico al padre ad eccezione della peluria del volto, gli trottava appena dietro.

Trascus fece segno a tutti di arretrare e pose le armi a terra per dimostrare che non avevano cattive intenzioni.

Riconoscendo in quel gesto un segno di benevolenza il centauro s’avvicinò al piccolo accasciato sul corpo della madre, lo prese fra le braccia e nello stesso tempo abbraccio il cadavere della compagna.

Phale era affascinata da quello spettacolo: non aveva mai visto un centauro, ne aveva solo sentito parlare al Tempio e non avrebbe mai creduto di poterne ammirare uno in carne ed ossa.

Gli occhi del centauro urlavano di dolore, ma con una forza inaspettata si caricò la carcassa della compagna sulla groppa e s’allontanò con i figli da quel luogo di morte. Prima di sparire nel fitto della foresta si voltò un’ultima volta verso Trascus e con un cenno del capo lo ringraziò.

L’atmosfera era così sovraccarica di emotività che Phale si ritrovò a piangere di compassione.

«Ehi bambina» l’incitò Trascus «dovrai abituarti a tutto questo. Qui non siamo ad Atlantide, non c’è la magia che ti protegge da ogni pericolo.»

«Lo so, ma non posso farne a meno. Se penso che la responsabilità di tutto questo è degli atlantidei…» convenne sedendosi con aria sconfitta sotto un albero.

«Beh, tecnicamente non direi… sono i Neri che hanno creato quelle creature con i loro schifosi esperimenti.»

Otre si allontanò dal gruppo per recuperare gli zaini e per spaventare con una freccia il leopardo che attendeva pazientemente il proprio turno.

«Lo so perfettamente, ma noi potevamo fare qualcosa. Non abbiamo vegliato abbastanza.»

«Ti ho già detto che quella gente fa cose vergognose, t’assicuro che la creazione di quegli ibridi è niente in confronto a quello che fanno ai Barbari.» il bel volto di Trascus si contrasse in una smorfia di disgusto al ricordo di tutto quello che aveva visto e subito, negli anni di prigionia.

«Non ho mai conosciuto il vero dolore, la vera morte… mi sento spezzare il cuore in questo momento! Quando i Neri hanno creato i centauri incrociando uomini ed animali grazie alla magia genetica, noi non eravamo a conoscenza delle loro intenzioni. Mio padre è intervenuto con decisione, ma era troppo tardi! Li avevano massacrati quasi tutti perché si era rivelata una forma di vita troppo intelligente rispetto ai loro scopi e quei pochi che è riuscito a salvare, li ha mandati qui.»

E qui» intervenne Trascus «si sono riprodotti come nuova specie. Ma erano così strani che nessuno li voleva. Le tribù di questa parte del mondo li considerano prodotto degli spiriti infernali ed ucciderne uno per un cacciatore, significa salire di grado. Ne hanno sterminati a centinaia, ecco perché prendono lo scalpo come trofeo. Nella mia tribù non venivano fatte queste cose, ma anche se dimostravamo loro benevolenza, avevano paura di noi e non si avvicinavano mai. Uscivano allo scoperto solo per procacciarsi cibo ed era in quei momenti che si esponevano maggiormente.»

«È terribile, ovunque vadano quelle povere creature rischiano di essere uccise dagli uomini.» anche Gelkares era visibilmente scossa dalla drammaticità dell’esistenza di quei bellissimi esseri.

«La vostra bella civiltà…» Trascus non finì il commento, la sentenza di disprezzo era inequivocabile e condivisa in quel frangente anche dalle due atlantidee.

«Ehi ragazzi, sarà meglio trovare un posto di ristoro, mancano un paio d’ore all’imbrunire e non credo che quel leopardo vorrà ritardare il pasto ancora per molto.» affermò Otre indicando i cadaveri dei guerrieri. «Domani giungeremo all’oro, vero Trascus?»

«Sì Otre, ma per la notte direi che è meglio accamparci qui vicino.»

«Ho individuato un buon posto quando mi sono allontanato per i miei bisogni. Ho sentito lo scrosciare dell’acqua e sono andato a vedere. C’è un piccolo ruscello, andiamo lì e lasciamo mangiare in pace il nostro amico!»

Il leopardo quasi consapevole delle parole di Otre si era avvicinato nuovamente ai cadaveri in attesa di poter banchettare ed in un balzo, quando il campo fu libero, si fiondò sulle carcasse.

Il posto scelto da Otre si rivelò un piccolo paradiso: il terreno ricoperto di humus era morbido sotto i loro piedi e l’acqua era una vera benedizione per togliersi la sporcizia accumulata in tante ore di cammino.

L’atmosfera era molto tesa, la violenza ed il sangue delle ore appena trascorse avevano lasciato il segno nelle ragazze.

Otre e Trascus si erano ripresi velocemente e dopo essersi ripuliti dal sangue e dalla sporcizia si erano messi in attività, avevano acceso il fuoco e preparato i giacigli per la notte.

«Mi dispiace Phale!» Trascus le si era avvicinato con rispetto cercando di non turbarla con la propria presenza. «Non vorrei disturbarti ma è arrivato il momento di mettere in atto il piano di cui abbiamo parlato prima. Informa anche Gelky.»

Quelle parole ebbero il potere di riportarla alla realtà ed assentì silenziosamente in un moto d’intesa.

«Il sonnifero è nella boccetta avvolta nello straccio bianco dentro al mio zaino. Vado.»

Senza aspettare risposta s’alzò con decisione, prese l’arco e le frecce e chiamò Otre per aiutarlo nella caccia.

«Ho voglia di carne stasera… Otre vieni con me? Ho visto che c’è abbondanza di selvaggina qui intorno.»

«Certo amico!» accolse l’invito raccogliendo il proprio arco e seguendolo fra la vegetazione che dopo poco inghiottì entrambi.

Phale raccontò a Gelkares il piano mentre rovistava nello zaino di Trascus in cerca della boccetta di sonnifero.

«Prendi la borraccia d’idromele di Otre!»

«Svuotiamola un po’ per non diluire troppo il sonnifero! Caro Otre se vedessi quello che stiamo facendo in questo momento t’infurieresti come un bufalo: sprecare così tutto questo ben di Dio!» la piccola burla riuscì a strappare loro un sorriso di divertimento.

Dopo mezz’ora i due cacciatori tornarono con la carcassa di un grosso facocero ed un cenno d’intesa rassicurò Trascus sul buon andamento del piano.

Mentre i tranci del facocero scoppiettavano sospesi sopra al fuoco Gelkares e Phale ringraziarono, in un momento di comunione che era diventato un’abitudine, lo Spirito dell’animale sacrificato.

Otre si era attaccato alla borraccia con avidità e tutti lo osservavano con la coda dell’occhio ed i nervi tesi. Fu un sollievo quando lo videro accasciarsi sopra al proprio saccoletto, russando rumorosamente.

«Io vado, non abbiamo tempo da perdere. Credo che in un’oretta sarò di ritorno.»

«Stai attento.» lo baciò Gelkares prima di vederlo scomparire fra gli alberi.

«Pensi che tornerà?» chiese all’amica.

«Sì tornerà, non possiamo farcela senza di lui.»

Trascus raggiunse silenzioso il luogo in cui erano presumibilmente accampati gli inseguitori. Li trovò rilassati a ridere e mangiare e non ebbe alcun problema a verificarne il numero: erano solo in tre compreso il capitano della nave. Forse non avevano voluto coinvolgere tutto l’equipaggio per non dividere l’oro o forse pensavano di poter sopraffare un ragazzo e due donne senza problemi.

Un’idea improvvisa gli attraversò la mente: in tasca aveva ancora il fungo velenoso raccolto quella mattina. Se fosse riuscito a raggiungere le loro ciotole li avrebbe uccisi in quel momento. Lo frantumò con un bastoncino che raccolse da terra come le aveva spiegato Phale ed aspettò il momento propizio che non si fece attendere. I tre uomini si allontanarono, due di loro per espletare le funzioni corporee ed il terzo per raccogliere legna per alimentare il braciere.

Le tre ciotole erano pronte e colme d’un liquido brodoso che giocava in suo favore. S’avvicinò rapido e vi versò il fungo sbriciolato mescolandolo col bastoncino di legno. Mancava un’unica tazza, ma un rumore di passi lo costrinse ad interrompere l’avvelenamento ed a nascondersi.

Erano ormai tornati tutti e s’avventarono ognuno sulla propria ciotola.

Trascus non aveva idea del tempo d’azione del fungo, non lo aveva chiesto a Phale, ma sapeva che sarebbero insorte delle violente contrazioni addominali, seguite da una morte dolorosa.

Decise di tornare, non poteva permettersi di prolungare troppo la sua assenza col rischio che Otre si svegliasse.

Arrivato al campo trovò l’uomo già sveglio ed il cuore ebbe un sobbalzo.

«Hai fatto pipì?» si sentì chiedere da Phale.

«Sì tutto a posto, ho fatto anche più di quanto immaginassi.» affermò con complicità.