15) Nella Terra dei Barbari

La cascatella di Pir ESCAPE='HTML'

«Tra un paio d’ore attraccheremo a Pir ragazzi! Non vedo l’ora d’arrivare all’oro, me lo sogno di notte! Ho preparato degli zaini con il cibo. Atteniamoci al piano di cui abbiamo parlato l’altra sera e tutto andrà perfettamente.» Otre mostrò con un cenno della mano i tre zaini colmi, addossati alla dispensa ed i tre clandestini sospirarono di sollievo di fronte alla prospettiva di porre fine alla clausura forzata.

Trascus si era chiuso in un silenzio saturo di nervosismo ed il suo umore aveva contagiato anche le compagne di viaggio. Phale, sapendo di esserne la causa, si era rassegnata a sopportare, ma Gelkares, essendone all’oscuro, lo punzecchiava continuamente.

Quando le ancore furono saldate fermamente al terreno sabbioso della baia e la nave agganciata alle boe predisposte, tutti gli uomini dell’equipaggio, compresi i passeggeri, si abbandonarono a grida di giubilo.

Lo sbarco dei soldati era previsto per il giorno dopo, essendo ormai notte fonda.

«Phale, Gelky… forza! È ora di muoverci! Otre ci sta guardando le spalle.» le incitò Trascus

Uscirono dalla cambusa di soppiatto e raggiunsero la scaletta che conduceva al ponte laterale dell’imbarcazione. La via era completamente libera, ma Trascus sapeva che probabilmente, fino a quando non fossero arrivati all’oro, non ci sarebbero stati particolari problemi. Nonostante ciò avvertiva prorompente il grido da combattimento del cuore pompato dall’adrenalina.

«Hai capito dove Otre ha messo la scialuppa?» gli chiese Gelkares.

Trascus l’azzittì con un cenno brusco del braccio udendo i festeggiamenti dell’equipaggio dalla parte opposta del ponte.

L’aria fresca della notte li accolse come un balsamo dopo i giorni passati al chiuso in sottocoperta.

«Eccola lì, quella è la scialuppa di cui parlava Otre… forza.»

Con atteggiamento protettivo Trascus aiutò le due ragazze a scendere nella piccola imbarcazione ma come aveva previsto, Otre ed il capitano avevano reso le cose facili.

Si nascosero dietro un cumulo di reti e vele danneggiate dalla navigazione e pronte per essere trasportate a Pir per la riparazione. Otre arrivò poco dopo e salì nella scialuppa provocando un vistoso rollio con il peso del proprio corpo.

«Siete arrivati ragazzi?»

«Siamo qui Otre, tutto bene.»

«Si va al porto! Non vi avevo detto che sarebbe andato tutto liscio come l’olio? Ogni tanto mi annebbio, ma ho ancora un cervello niente male, no?»

Iniziò a remare con costanza mentre le grida provenienti da Regina si facevano sempre più distanti.

«Mi sentirò più tranquillo quando metteremo piede a terra!» affermò Trascus sbirciando dal nascondiglio.

Otre rise e continuò a remare canticchiando. A metà strada con il favore del buio che avvolgeva l’intera baia, si permise d’alzare il tono della voce.

«Partiremo appena attraccheremo a Pir, voglio arrivare il prima possibile all’oro.»

«Ma non avevamo deciso di metterci in cammino all’alba di domani?» la voce di Trascus tradiva un certo disorientamento.

«Caro amico, fidarsi è bene non farlo è più saggio. Mi hai promesso l’oro, ma sappi che se non troverò quello che mi hai garantito ti taglierò le budella; a te ed alle tue amichette!»

«Tranquillo non ho intenzione d’ingannarti.»

«Potrebbe essere, ma preferisco non perderti d’occhio. Ho raccontato a tutti che sarei andato a trovare una delle mie donne a Pir stasera, quindi non ci saranno problemi di sorta.»

«Non è prudente partire con il buio, lo sai bene!» Trascus uscì dal cumulo di reti e si accomodò accanto al cuoco aiutandolo a remare, ma la risata canzonatoria di Otre lo indispettì pungendolo nell’orgoglio.

«Hai paura Trascus?»

«Non ho paura!» il petto gli si gonfiò nella decisa replica. «Non è saggio partire con il buio, ma non so in che stato si trovi la mia terra in questo momento, sono passati troppi anni.»

«Tutto è esattamente come l’hai lasciato ragazzo. Voi selvaggi non avete le conoscenze necessarie per agire sul territorio come sanno fare gli atlantidei. Gli Dei non vi permettono di avvicinarvi a noi se non in qualità di schiavi e da quella condizione, come ben sai, è praticamente impossibile affrancarsi. Come credi possa esserci qualcosa di diverso se prima non cambiate voi? Piuttosto… come fai ad avere la certezza che l’oro sia ancora lì dopo tutti questi anni?»

«Ne sono certissimo, io e mio fratello eravamo gli unici a conoscenza di quel posto e lui è…» si fermò un attimo sopprimendo l’emozione del ricordo della persona che più gli mancava al mondo «…è morto ed io sono qui davanti a te.»

«Ma come puoi sapere che non sia stato scoperto da nessun altro?»

«Quando abbiamo visto morire gli uomini che stavano trasportando l’oro noi eravamo ragazzini; eravamo appena stati iniziati alla caccia dalla nostra tribù. Ci siamo trovati involontariamente in mezzo alla loro rissa e ci siamo nascosti. Il vincitore ebbe pochi istanti di tranquillità perché fu colpito alle spalle da un selvaggio che non si accorse del cavallo con il carico d’oro. Quando lo recuperammo in mezzo alla boscaglia rimanemmo senza parole. Non sapevamo cosa farne e così l’abbiamo portato nel nostro nascondiglio segreto, un luogo della nostra infanzia praticamente inaccessibile se non si conosce il modo in cui entrare. L’avevamo scelto proprio per questa sua caratteristica, ma capirai le mie parole quando lo vedrai.»

«Perché non avete consegnato l’oro al vostro villaggio?» chiese Otre incuriosito. «Ehi ragazze, fra un paio di minuti ormeggiamo!»

«Perché non dovevamo portare alla tribù dell’oro, ma della selvaggina.»

L’idealismo contenuto in quelle parole fu accolto con disprezzo da Otre che era abituato a trattare le cose solo in vista di un guadagno personale.

«Beh, meglio per me e per voi… direi! Eccoci arrivati. Forza ragazze uscite ed aiutateci ad attraccare! Non ci sono pericoli e tra l’altro a quanto pare, non c’è anima viva qui attorno.»

Le due lune si specchiavano l’una nell’altra ed illuminavano i contorni della notte con un chiarore delicato, ma sufficiente a mostrare le forme attorno a loro.

Otre tenne saldamente ancorata alla banchina la scialuppa con le proprie mani mentre Trascus scendeva a terra per legare la cima alla bitta.

Lo sbarco ebbe un effetto ristoratore per tutti, anche se la sensazione del rollio della navigazione era ancora in loro nonostante avessero sotto i piedi il solido terreno.

«Bene ragazzo, a ripensarci potremo partire all’alba o poco prima. Se questo ti fa stare meglio non ci sono problemi.»

«Tu conosci Pir, Otre?» gli chiese Phale.

«Se lo conosco? Bambola, stai parlando con un marinaio che percorre questo tratto almeno trenta volte all’anno.»

«Pensi di saperci indicare un posto in cui dormire? Ho del denaro con me.»

«Credo che a quest’ora non troveremo niente nemmeno se pagassimo con oro puro, però conosco un posto appena fuori da Pir in cui accamparci e passare una notte in condizioni discrete. Negli zaini ho messo tutto il necessario per il viaggio che ci aspetta ed anche qualcosa da bere!» affermò strizzando l’occhio a Gelkares.

«Quello non deve mancare mai!» scherzò di rimando la ragazza. «Sono proprio curiosa di vedere questo posto! Andiamo?»

«Mia signora, mi porga il braccio che l’accompagno!»

Il cuoco si caricò il proprio zaino in spalla aspettando che anche gli altri facessero altrettanto e dopo un’ultima occhiata all’ormeggio della scialuppa s’incamminarono lungo il molo.

Le vie di Pir erano completamente deserte, il porticciolo era piccolo ed i suoi abitanti si alzavano prima dell’alba e si coricavano al calare del sole, in un ritmo che sfruttava la luce naturale: a differenza di Atlantide le uniche forme d’illuminazione artificiale erano le torce o nei villaggi più evoluti, le candele di cera.

Il territorio barbarico e quello atlantideo costituivano due dimensioni separate da un abisso di conoscenza e l’unico punto di contatto era costituito dallo sfruttamento delle risorse umane e materiali del primo, da parte del popolo di Atlantide.

Entrare in quella dimensione significava venire catapultati in un territorio selvaggio e primitivo che pur con tutte le sue difficoltà, permetteva d’avvertire un contatto con la natura che gli atlantidei avevano perduto mano a mano che la loro società si era evoluta.

Addentrandosi nella fitta boscaglia che circondava il porto avvertirono con chiarezza la mano gentile della natura incontaminata che contrastava nettamente con ciò che si erano appena lasciati alle spalle.

I rumori della notte accompagnavano i loro passi mentre ognuno era immerso in se stesso: Phale pensava al bambino che le stava crescendo nel ventre, Gelkares sognava il momento in cui Trascus l’avrebbe introdotta nella sua tribù ed Otre fantasticava sull’oro.

Trascus invece, rimaneva all’erta come un giaguaro ed osservava ogni particolare per individuare la strategia migliore per liberarsi del cuoco.

In lontananza cominciò a prendere forma sonora lo sciabordio d’una cascata ed Otre li avvertì che la loro meta era vicina.

«Penso che le ragazze apprezzeranno un po’ d’acqua pulita!» affermò provocando un grido d’eccitazione nelle due giovani.

La boscaglia s’aprì dopo pochi istanti in un’ampia radura che ospitava una piccola cascata gorgogliante. La luce delle Lune, per quanto debole, permetteva di scorgerne i contorni e dopo aver scaricato sul posto gli zaini Gelkares e Phale si precipitarono verso l’acqua, ridendo come bambine.

«Direi che può andare, che ne dici amico mio? Vengo sempre qui quando siamo all’ancora nella baia, in attesa del nuovo carico. Di giorno è un posto piuttosto frequentato, soprattutto da belle donne» scherzò strizzandogli l’occhio in un segno d’intesa, «ma la sera è deserto. Possiamo stare tranquilli ed accendere un fuoco per scaldarci.»

Si diresse senza indugio verso un braciere spento a ridosso della collinetta adiacente la cascata, che ne denunciava un utilizzo frequente.

«Siamo anche fortunati, gli Dei ci stanno proteggendo. Guarda, qualcuno ha lasciato della legna e non dobbiamo nemmeno cercarla.»

Accesero il fuoco e poco dopo vennero raggiunti dalle ragazze che, ritemprate dall’acqua pulita, ciarlavano senza posa.

«Direi che abbiamo tre orette prima di partire e credo sarebbe opportuno dormire.» le ammonì bonariamente Otre «Negli zaini di ognuno ho messo dei sacchiletto, tirateli fuori e dormiamo un po’. Facciamo un’ora di guardia a testa, che ne dici ragazzo? Non credo avremo problemi, ma ora siamo in mezzo ai selvaggi e qui non ci sono certezze.»

«Voglio partecipare anch’io, non voglio che il peso di tutto questo sia unicamente sulle vostre spalle.» s’offrì Phale.

«E anch’io! Se dobbiamo abituarci a questa vita sarà meglio cominciare subito.» aggiunse Gelkares.

Beh ragazze» rispose Otre scoppiando in una sonora risata «ogni desiderio pronunciato da una donna va rispettato. Mentre voi tre farete un’ora di guardia a testa io dormirò. Svegliatemi quando sarà ora di partire!» entrò nel proprio saccoletto iniziando a russare allegramente dopo pochissimi istanti .

“Come cavolo fa a dormire in quel modo?” si chiesero osservandolo.

«Non fidatevi ragazze, è un uomo abituato alle avversità e sono certo che con un occhio dorme e con l’altro è vigile.» Trascus parlò sottovoce.

«Inizio io la ronda, ho dormito abbastanza in quella maledetta nave e credetemi, l’unica cosa di cui non ho bisogno adesso, è chiudere gli occhi.» s’offrì Gelkares.

«Ok, tra un’ora tocca a me e poi a Phale! Tieni, questa è una clessidra ti avvertirà del tempo che passa.»

Le passò il piccolo oggetto estraendolo dal proprio zaino e Phale ammirò la sua capacità organizzativa.

«Lyla è ora di partire.» la voce di Trascus la fece sobbalzare.

«Ma come… tocca a me?» si guardò intorno disorientata, le sembravano passati pochissimi minuti da quando aveva chiuso gli occhi, ma non appena si accorse che tutti erano già in piedi a riordinare gli zaini si vergognò della propria inadeguatezza.

«Ho preferito lasciarti dormire, io non avevo sonno e poi sai perché…» le sussurrò Trascus con voce tesa.

Non poteva permettersi di dormire sapendo che il capitano della nave e chissà quanti uomini dell’equipaggio li avrebbero seguiti.

Phale s’alzò piuttosto imbarazzata ed in silenzio andò a rinfrescarsi alla cascata che in quel momento stava rivelando tutta la sua bellezza, grazie alla luce del Sole nascente.

Quando tornò al proprio zaino si sentiva meglio e dopo aver raccolto i pochi oggetti personali attese il via in rispettoso silenzio.

«Bene Trascus, da che parte andiamo?» stava chiedendo Otre senza riuscire a tradire l’eccitazione della voce.

«Verso sud!»

«Dicono che ci siano parecchi animali selvaggi da quelle parti ragazzo. Non è un territorio che conosco molto bene, ma so che è ricco di selvaggina anche se povero d’acqua.»

«Dove ci sono animali c’è anche acqua, basta trovarla!» gli strizzò l’occhio con complicità.

«Mi fido di te, ti seguo.»

La boscaglia che racchiudeva Pir in una semiluna, s’interrompeva bruscamente dopo poche centinaia di metri per lasciare posto ad una pianura desolata che si rivelò, non appena il Sole s’alzò all’orizzonte, una trappola di caldo infernale. I pesanti zaini che portavano sulle spalle aumentavano il disagio del loro cammino, ma erano tutti motivati ed ansiosi d’allontanarsi dalla nave e dai soldati dei Neri che sicuramente si erano già messi in cammino.

«Guarda Trascus, laggiù!» il dito di Otre indicò un punto all’orizzonte in movimento.

«Che ne dite di un buon coniglio alla brace per pranzo?»

Trascus non se lo fece ripetere due volte e dopo avere lasciato lo zaino in terra, strappò divertito l’arco e le frecce dalle mani del cuoco. Si sentiva veramente libero per la prima volta dopo tanto tempo, poteva andare a caccia come quando era ragazzo e nonostante le incognite del futuro, non riusciva a non scoppiare d’eccitazione.

«Vado io Otre, tu rimani qui!Se ce ne è uno devono essercene anche altri.»

«Non penserai che ti lasci andare da solo, scordatelo!» gli rispose seguendolo.

Gelkares e Phale li guardarono allontanarsi e giocare ad una pratica di morte che per il popolo dei Bianchi era inimmaginabile.

«Gelky, dobbiamo per forza abituarci a questa cosa, ma non sarà facile.»

«Ti ricordi quella storia che ci raccontava tua madre da bambine? Quella sulla tua antenata perduta in questa terra e creduta morta da tutti?»

«Sì…» Phale deglutì.

«Monràh ci ha raccontato che per sopravvivere anche lei ha dovuto cibarsi di animali morti. Diceva che ogni volta che accadeva ringraziava con una preghiera lo Spirito dell’animale che si stava sacrificando per permetterle di vivere.»

«Lo so Gelky, dovremo farcene una ragione, ho un bambino dentro di me e non posso permettermi di scegliere come facevo ad Atlantide.» alzò il mento in un gesto di sfida. «Se la Dea ci ha mandate qui, in un posto in cui le regole della vita sono diverse dalle nostre, significa che dobbiamo giocarle come gli altri. Non mi tirerò indietro!»

«Nemmeno io!»

Osservarono i due cacciatori distanti un centinaio di metri, mentre avanzavano con circospezione.

«Eccoli!» un gruppetto di conigli stava brucando serenamente un ciuffo isolato di vegetazione e Trascus intimò ad Otre di rallentare e di mettersi sottovento.

S’avvicinarono di soppiatto con gli archi tesi e pronti a colpire mentre l’adrenalina e le endorfine pompavano i loro sensi, acuendoli al massimo.

Uno dei conigli interruppe il proprio brucare muovendo nervosamente le lunghe orecchie: aveva percepito il pericolo. In una frazione di secondo, mentre gli animali fuggivano disperdendosi da tutte le parti, due frecce colpirono i bersagli senza errore.

Trascus ricaricò velocemente l’arco ed il corpo d’un terzo coniglio s’accasciò al suolo.

Con eccitazione si avvicinò ad una delle prede e dopo averla accarezzata con delicatezza si riempì i polmoni dell’energia donata dalla caccia e del sapore indimenticabile della libertà, che lo aveva tormentato per anni durante la schiavitù.

Le ragazze lo raggiunsero nel momento in cui Otre si stava complimentando con lui per mezzo d’una sonora manata sulla spalla.

«Amico mio complimenti davvero! Il primo era facile, ma il secondo era in movimento! Per tutti i trichechi che tiro magnifico, non credevo avessi di queste abilità.»

«In realtà ho continuato ad allenarmi in questi anni. L’ultima famiglia di Neri con cui sono stato era diversa dalle altre, mi ha insegnato tantissime cose ed il padrone mi portava con lui a caccia per fargli da spalla. Ma così è tutta un’altra cosa, la libertà d’azione è una sensazione insostituibile.» confessò compiaciuto.

«Bisogna che stia attento con te ragazzo, la cosa inizia a preoccuparmi: non vorrei essere trafitto da una delle tue frecce uno di questi giorni.»

«Non temere Otre, avrai il tuo oro, sono un uomo di parola.»

«Sarà meglio per voi! Non credere che non abbia organizzato bene le cose. Nel caso io non tornassi in tempo alla nave, il capitano troverà lo scritto che ho lasciato in bella vista nella mia cuccetta. Saprebbero ogni cosa e ti darebbero la caccia senza pietà: uno schiavo non può passarla franca per l’omicidio di un atlantideo.»

“Dovrò stare attento quando arriverà il momento di eliminarti, un colpo come quello con un bersaglio in movimento ed a quella distanza è da maestro.” pensò il cuoco.

«Ti ripeto Otre che non devi temere nulla! Preferisco che nessuno sappia di noi e se tu ritornerai alla nave con il tuo oro non ci saranno problemi.»

Dopo aver raccolto la selvaggina continuarono il cammino ma a mezzogiorno il Sole si trovava allo zenit ed il calore era diventato insopportabile; decisero di fare una sosta in uno spiazzo protetto da un gruppetto di alberi.

«Cucino io Otre! Almeno questo lasciatelo fare a noi ragazze!» sentenziò Phale.

«Mia cara Lyla, quando avrò l’oro non toccherò più una pentola in vita mia. Mi farò servire! Quindi prego… la cucina è tutta vostra.»

Non fu semplice superare il ribrezzo della cura del coniglio ma sotto la guida di Trascus che con sensibilità aveva compreso le loro difficoltà, riuscirono a vincere la sfida.

“Grazie Spirito amico per il corpo che offri a me ed al mio bambino. Che il tuo sacrificio ti permetta d’andare oltre la tua animalità e che tu possa incarnarti in una forma più evoluta.” pregò Phale.

Considerò le parole dell’orazione e fu soddisfatta della formula. Quando una lieve brezza le accarezzò il volto seppe che lo Spirito dell’animale aveva lasciato quel mondo con serenità, appagato dal ruolo che la vita gli aveva assegnato e la ragazza s’inchinò in onore del sacrificio.

Il profumo dell’arrosto accentuato dal calore della giornata si diffuse attorno a loro e quando Trascus tornò con un sacchetto d’erbe commestibili il pranzo era ormai pronto. Utilizzarono il grasso colato dall’arrosto per condire l’insalata e seduti sopra gli zaini mangiarono di gusto.

«Che ne dite di un goccetto amici?»

Le parole del cuoco ebbero il potere di riportare alla realtà Trascus che fino a quel momento si era permesso di evitare di pensare agli inseguitori che ne era certo, non si trovavano molto distanti da loro. Non aveva ancora notato alcun segno della loro presenza e la cosa lo preoccupava perché non sapeva da dove sarebbero spuntati.

Sapendo che Otre poteva usare il sonnifero si era ripromesso di non accettare alcuna bevanda e si era assicurato che anche le ragazze seguissero il suo esempio. Aveva lavato minuziosamente le borracce mentre erano alla cascata e le aveva riempite con acqua pulita, raccomandandosi di non perderle mai di vista.

«No, grazie Otre! Con questo caldo l’unico in grado di bere quella roba sei tu.»

«Ragazzo mio l’alcool disinfetta le budella!» replicò trangugiando d’un fiato parte del contenuto della borraccia.

Fu in quel momento che Trascus e Phale s’accorsero di un luccichio proveniente da qualcosa di metallico, a nord della loro posizione.

Si scambiarono uno sguardo di complicità, senza dare nell’occhio.