Fermare i nemici ESCAPE='HTML'

17) Fermare i nemici

«Siamo stati fortunati, erano solo tre uomini e per due di loro ho utilizzato il fungo come mi hai insegnato tu Phale. Con il terzo non ci sono riuscito per un pelo, rischiavo di venire scoperto. Sei certa delle proprietà di quel fungo? Non sono potuto restare per verificarne l’efficacia.» raccontò Trascus.

«Certo che lo sono, le proprietà delle erbe e delle sostanze naturali si studiano nel biennio superiore al Tempio.»

«Sapessi che noia, passavamo intere giornate a raccoglierle ed a catalogarle!» intervenne Gelkares.

Il ricordo di quegli anni strappò un sorriso ad entrambe.

«Quindi posso essere certo di averne eliminati due, me lo confermate?»

«Sì, se hanno mangiato quel fungo a quest’ora saranno morti dopo atroci conseguenze gastroenteriche. Ed il terzo?»

«È questo il problema, si tratta del capitano della nave, è un uomo intelligente e non credo faticherà a collegarci al misfatto. Quindi abbiamo pochissimo tempo per organizzare la fuga da Otre, un paio d’ore al massimo. Non posso contare sulla vostra capacità di uccidere un uomo ovviamente, quindi si tratta di un mio problema.»

«Addormentiamolo e scappiamo il più lontano possibile da qui!» propose Gelkares.

«Ci avevo pensato anch’io, ma ha dormito solo per un’ora e mezza ed è troppo poco per distanziarci in modo considerevole. Meglio nasconderci in un luogo sicuro ed attendere lì. Considera che è notte e camminare nella foresta al buio o con l’aiuto di torce che ci farebbero individuare in poco tempo, non è il massimo. No, ho trovato un buon posto per nasconderci, l’ho individuato mentre tornavo qui. L’unico problema è che probabilmente andremo incontro al capitano.»

«Ci sono altre soluzioni?» chiese Phale.

«Non ne ho individuate. Forza Gelky, cerca di distrarre Otre, ho notato che sta con piacere in tua compagnia; nel frattempo noi gli verseremo il resto del sonnifero.»

Un lieve rossore sulle guance della ragazza denunciò l’imbarazzo di quell’affermazione, ma assentì senza ribattere e raggiunse il cuoco che in quel momento si trovava davanti al falò, immerso in uno dei suoi silenzi post sbronza.

«C’è qualche problema Otre?» gli chiese con tono accattivante producendo l’immediata reazione maschile.

«No bambola, sto solo pensando al mio oro, a quando sarà nelle mia mani! Tuttavia» aggiunse guardandole il seno con lascivia «ci sono anche altri tesori che so apprezzare!»

Se quelle parole l’imbarazzarono non lo diede a vedere, rise alla battuta, ma abbassò gli occhi per non permettergli di proseguire in quella direzione.

Con la coda dell’occhio vide Trascus avvicinarsi di soppiatto alla tazza di liquore che Otre aveva lasciato accanto al proprio zaino e gli resse il gioco mentre allungava il contenuto con il sonnifero.

«Sai Otre, mi dispiacerà lasciarti!»

Gli occhi dell’uomo si velarono di piacere, non era abituato all’attenzione di ragazze così attraenti e raffinate.

«Anch’io sentirò la tua mancanza ragazza! Un uomo come me non è avvezzo a conversazioni come quelle che abbiamo fatto in questi giorni.»

«Beh Otre, in questo momento avrei proprio voglia di brindare all’ultima notte che passeremo insieme, che ne dici?»

«Perbacco, certo che ci sto! Così mi piaci ragazza!» si alzò e si diresse barcollando verso lo zaino, raccolse la borraccia di idromele ed il bicchiere e tornò sui suoi passi.

«Mi gira un po’ la testa, che abbia esagerato con l’idromele?»

Senza attendere risposta le offrì il bicchiere con il sonnifero in un gesto galante.

«Tieni ragazza! Alla nostra salute!»

«Oh no no, non posso Otre, grazie. Mi accontento d’acqua, mi fa uno strano effetto quella roba!»

«Brindare con l’acqua? Ragazza mia stai bestemmiando!» rise divertito, ma accettò la spiegazione di fronte al bicchiere d’acqua alzato in suo onore e che poneva fine ad ulteriori repliche.

«Alla tua salute Otre e grazie di tutto!» l’osservò trangugiare in un solo sorso l’idromele e chiudere gli occhi beato dopo la bevuta.

«Ragazza mia se un giorno vorrai sposarti sappi che sono disponibile!»

Gelkares rise di gusto di fronte alla spiritosaggine e con un gesto della mano dietro la schiena avvertì i compagni che tutto era a posto.

«Dobbiamo aspettare che si addormenti, poi raccoglieremo le armi e quello che potrebbe servirci e partiremo immediatamente.» sussurrò Trascus a Phale. «Hai paura?»

«Un po’, lo ammetto! Da quando è iniziata questa storia non ho avuto un momento di pace. Non è facile precipitare dalle stelle alle stalle.» si autocompatì.

«Non c’è persona al mondo in grado di capirti meglio!» le fece notare. «Quando sono stato fatto schiavo e condotto ad Atlantide ho perso ogni punto di riferimento ed i miei sogni di ragazzo si sono frantumati in un inferno quotidiano che ho odiato con tutto me stesso.»

Phale s’accorse di avere toccato un tasto dolente, ma lo lasciò sfogare.

«Durante la prigionia ho desiderato la morte con ossessione, è diventata la mia Dea, l’unica che avrebbe potuto rendermi la libertà! In alcuni momenti morte e vita perdevano significato, soprattutto durante gli esperimenti a cui Mhanna mi sottoponeva! Ti assicuro» la guardò con gli occhi lucidi «che la signora con la falce sarebbe stata mille volte più gentile di quella strega! In quegli orribili momenti il sonno eterno era l’unica cosa che avrei davvero potuto scegliere, costituiva il mio unico potere.»

Ma non era accaduto, era sopravvissuto e giorno dopo giorno aveva sopportato tutto riuscendo alla fine a liberarsi. La morte non gli faceva paura come agli altri uomini, era stata la sua unica certezza in una vita senza senso ed aveva imparato a rispettarla e per alcuni versi, ad amarla.

Poteva quindi comprendere perfettamente i sentimenti di Phale. Ammirava il modo in cui la ragazza riusciva a mettere da parte ciò che provava per affrontare la sfida d’un mondo tanto diverso dal proprio.

Trascus racchiuse fra le proprie una mano della ragazza assaporandone la delicata morbidezza e senza ricevere l’usuale rifiuto: il magnetismo prodotto dalla consapevolezza del loro comune destino li tenne legati in un istante che dilatò il tempo all’infinito.

«Trascus ecco… credo si stia addormentando, teniamoci pronti.» Phale si riprese per prima spezzando l’incantesimo.

«Perfetto!»

«Vado un attimo fra le piante lì dietro: la gravidanza mi costringe ad urinare spesso e non voglio obbligarvi a fermarvi durante la marcia.

«Vai.»

Gelkares raggiunse Trascus col volto paonazzo.

«Non so cosa ci sia fra voi due, ma ho visto come la guardi, come le tieni le mani, le attenzioni che le rivolgi. Ricorda che mi hai fatto una promessa ed io sono partita con te con il suo presupposto. C’è qualcosa fra te e Phale?» gli occhi guizzavano come saette.

«Non mi sembra il momento per un attacco di gelosia!» la rimproverò per togliersi d’impaccio.

«Vi ho visti!» sentenziò ignorando completamente l’ammonimento.

«Tu non hai visto nulla, sai bene che Phale anche se lo volesse non potrebbe andare contro i vostri principi. Me lo hai raccontato anche tu che i Bianchi non hanno possibilità di scegliere: la loro via è sempre quella della luce della coscienza. Sono state le tue parole o sbaglio?»

«Certo, lo so benissimo. Ma le parole d’amore che mi rivolgevi erano bugie?»

«No! Ti guardavo e vedevo in te la ragazza più bella e dolce che avessi mai conosciuto!»

Non stava mentendo perché all’epoca non aveva ancora conosciuto Phale, la sua energia irrequieta e quel potenziale inespresso che aspettava di essere fecondato.

In lei non vedeva solo una donna da amare, ma la femminilità al suo stato primordiale. Era come argilla fra le mani d’un artista, avrebbe potuto plasmarla poco alla volta fino all’opera compiuta, il loro amore.

Trascus era un abile scultore e sapeva bene che non era l’artista il vero autore di un’opera: l’argilla era una sostanza allo stato grezzo che prendeva vita in tanti istanti successivi, guidando l’operatore, incitandolo ed ispirandolo; si trattava di una co-creazione fra l’uomo e la materia.

In Phale sentiva tutto questo e molto altro e non gli era mai capitato di provare certe sensazioni per una donna.

Non poteva tuttavia affrontare in quel momento il problema della gelosia di Gelkares.

«Gelky stai tranquilla!» le prese il mento fra le mani guardandola negli occhi. «Andrà tutto bene, ma non è il momento di parlare di questo! Guarda» indicò Otre che ronfava sonoramente accanto al falò «è ora di muoverci.»

La gentilezza del gesto calmò all’istante la ragazza.

«Raduna tutti gli zaini mentre io mi occupo delle armi, vedrai non avremo grossi problemi!»

L’arco di Otre era appoggiato allo zaino e Trascus andò a raccoglierlo ritenendo più saggio lasciarlo disarmato. Il grido soffocato di Gelkares lo costrinse a voltarsi.

«Trascus… aiuto…»

«Sorpresa! Pensavate di farmela vero?» il coltello di Otre puntava minaccioso alla giugulare di Gelkares che impietrita, non osava muoversi.

«Se osi fare un passo in avanti la sgozzo!» l’avvertì per impedirgli qualsiasi reazione.

Dopo qualche secondo due braccia vigorose immobilizzarono Trascus prendendolo alle spalle ed il giovane avvertì la punta di un’arma affilata pungolargli la vita.

«Capitano! Che piacere vederti, sei arrivato al momento giusto!»

«Vedo che i nostri piccioncini stavano prendendo il volo! Dov’è Mahina?» una zaffata d’alitosi accompagnò le parole del nuovo venuto ed investì Trascus.

«È andata a pisciare fra gli alberi, manda un uomo non ci metterà molto a trovarla.»

«Stupido, non c’è nessun altro uomo. Non so come, ma sono certo che c’entra questo bastardo! Hai qualcosa da dirmi schiavo?»

«Non so di cosa stia parlando!» si discolpò Trascus consapevole della lama puntata alla schiena.

«Non credere di avere a che fare con un novellino. Ho capito subito che eri pericoloso, ma ti assicuro che io lo sono altrettanto. Ne parleremo in seguito. Otre legali mentre io cerco la ragazza, non deve sfuggirci è il nostro lasciapassare per sopravvivere a Mhanna e Thotme.

«Subito capitano!»

Mentre Otre si occupava dei prigionieri il capitano s’avventurò in mezzo alla boscaglia.

Phale aveva assistito impotente a tutta la scena e non aveva avuto altra soluzione che quella di rimanere nascosta.

«Bambina, dove sei?» il richiamo del capitano riempì le tenebre di quella notte priva di stelle.

«Cazzo non si vede niente! Dove diavolo sei brutta cagna…»

Decise di tornare al campo per accendere una torcia, ma aveva compreso subito che non sarebbe stato facile individuarla con quel buio.

«Non si vede niente! Se fanno un solo movimento ammazza la ragazza! Lui ci serve vivo per l’oro, ma lei possiamo sbudellarla a nostro piacimento.»

Gelkares tremò di fronte a quella prospettiva, non voleva morire in quel modo e la paura prese il sopravvento facendola scoppiare in un pianto disperato.

«Stai tranquillo capitano! Ci penso io e sarei ben felice di sgozzarla visto come mi ha preso per i fondelli!» con la lama del coltello le scostò la logora tunica grigia rivelando un seno. «Ma prima mi divertirò un po’ con te, mia cara!»

Phale era poco distante da loro ed alla vista di quel gesto fremette d’indignazione. Cosa poteva fare per aiutarli? L’incantesimo d’occultamento le avrebbe permesso di avvicinarsi, ma era necessario un mezzo opaco. Si guardò l’abito che aveva indosso e decise che tutto sommato poteva servire allo scopo; si denudò e l’utilizzò come schermo.

Il capitano le passò accanto e non vide nulla, lo sentì imprecare mentre si allontanava dal campo e decise di non dare ascolto alle oscenità che le stava rivolgendo.

Entrò nell’accampamento con attenzione, lo schermo dell’abito non riusciva a coprirla del tutto ed i piedi rimanevano visibili. Doveva prendere una coperta e qualcosa da mangiare, aveva deciso come muoversi, ma voleva che anche gli amici ne fossero informati.

Otre era davanti a loro, seduto su una pietra e non li perdeva di vista.

«È inutile che ci provi giovanotto!» ringhiò contro Trascus che cercava di liberarsi dalle corde. «Volevi fregarmi ma ti è andata male. Non credere che ti permetteremo di fare ancora il furbo con noi. Stamattina arriveremo all’oro e se non farai esattamente quello che hai promesso sgozzerò lei!» minacciò indicando con sadismo Gelkares che nel frattempo si era calmata.

Il contatto di Trascus legato accanto a lei le infondeva coraggio.

«Non credere che la sgozzeremo e basta» continuò «tu non conosci il capitano: l’ho visto spellare vivo uno schiavo solo per dare l’esempio a tutti gli altri. Le grida di dolore di quello stupido lo eccitavano e credimi se ti dico che con la tua amichetta si divertirebbe ancora di più.»

Trascus abbassò lo sguardo consapevole che in quel momento doveva lasciargli la sensazione di avere il dominio della situazione. Il capitano non aveva ancora trovato Phale, in qualche modo era riuscita a nascondersi e proprio in quel momento ne comprese la ragione: il corpo di Phale, alle spalle di Otre, gli si rivelò per il tempo necessario affinché la scorgesse.

La vista della nudità della ragazza ebbe un potere afrodisiaco immediato accentuato anche dalla situazione di pericolo in cui si trovavano. Avvertì un insopportabile turgore ai lombi, ma fu riportato alla realtà dalla stretta di mano di Gelkares che come lui, aveva scorto l’amica.

«È Phale, forse abbiamo una speranza. Ha usato l’incantesimo.» gli sussurrò.

«Ho visto!»

«Cosa state confabulando? Non voglio sentire volare una mosca, chiaro?» li azzittì Otre. Soddisfatto dalla sottomissione provocata dall’ammonimento tornò a trangugiare con voracità l’idromele.

Phale si mise all’opera e cercò, mantenendo l’incantesimo, tutto ciò che le sarebbe potuto servire per il proprio proposito: lo zaino, la coperta, la borraccia e una torcia. Aggiunse il coltello di Otre, sfilandoglielo da sotto il naso.

Trascus seguì con lo sguardo i piedi che si muovevano come mossi da vita propria attorno al falò e nonostante la situazione critica si permise un sorriso beffardo. Li vide scomparire dietro agli alberi nello stesso istante in cui la voce del capitano si annunciò alle loro spalle.

Era furibondo, non trovare la ragazza sarebbe stato un grosso problema poiché aveva inviato un messaggero a Mhanna per informala della situazione che intendeva rivoltare a proprio vantaggio.

L’alba era ormai spuntata all’orizzonte gettando le prime luci sulle ombre della foresta e la sconfitta della ricerca gli aveva teso i nervi a fior di pelle.

«Quella bastarda è scappata!»

«I Bianchi usano la magia capitano.»

«È vero, ma lei non è ancora stata iniziata, non dovrebbe avere grosse capacità. Non è come fra i Neri che iniziano anche i bambini molto piccoli; i Bianchi vengono introdotti ai Misteri da adulti.»

«Ma sicuramente avrà imparato qualcosa capitano!»

«Può essere! L’unica cosa certa è che per noi sarà un grosso problema.» si sedette accanto ad Otre e trangugiò con avidità l’acqua della borraccia.

«Ho mandato un messaggero a Mhanna per dirle che abbiamo la ragazza: se non la troviamo ci spennerà vivi! Tutto l’equipaggio è informato della cosa…»

«Mi dispiace capitano...questa strega» indicò Gelkares «ha usato le sue magie per addomesticami e solo per un soffio sono ritornato in me ed ho capito che qualcosa non andava.»

«Mangiamo qualcosa e partiamo. Prima arriviamo all’oro, meglio sarà. E tu verme schifoso farai bene a portarci lì senza fiatare. Quanto manca?» perforò con lo sguardo Trascus.

Mantenendo un profilo basso per compensare la situazione di svantaggio rispose in tono umile.

«Se partiamo adesso dovremmo arrivare per mezzogiorno, signore.»

«Bene, allora partiamo. La ragazza la troveremo più tardi o cercheremo un’alternativa plausibile per Mhanna.»

Il pensiero lo fece rabbrividire: non sarebbe stato facile ingannare la donna più potente di Atlantide e meno ancora Thotme, le cui capacità magiche erano superiori a quelle di qualsiasi altro.

Era meglio mettere da parte ogni timore, concentrarsi sull’oro e procedere con diligenza risolvendo un problema alla volta; la strategia dei piccoli passi lo aveva sempre condotto alle migliori vittorie.

Raccolsero gli oggetti sparsi nell’accampamento e non mancarono di notare la scomparsa dello zaino di Phale.

«È stata qui capitano, guarda! Non ci sono più le sue cose…»

«Vedrai che non ci sfuggirà a lungo, una donna sola in questi posti non ha alcuna possibilità di sopravvivenza.»

S’incamminarono quando il disco solare era ormai completamente visibile all’orizzonte. I prigionieri procedevano legati alle mani in mezzo ai due uomini mentre Phale li seguiva a distanza di sicurezza, pronta ad usare l’incantesimo d’invisibilità nel caso fosse stato necessario. Non aveva un piano d’azione certo, ma sapeva che in qualche modo avrebbe liberato gli amici.