27) La Tredicesima Maga

Tredici del Tempio di Smeraldo ESCAPE='HTML'

Monràh decise di andare sola da Ingherin quel mattino.

Il sole splendeva alto donando un tepore tenue e gradevole ed un venticello costante giocava con le foglie degli alberi che stavano mutando il colore dal verde, al giallo-rosso tipico dell’autunno.

Atlantide era caratterizzata da molti spazi verdi, ma avevano perduto il sapore originale di una natura incontaminata a causa delle costruzioni faraoniche che li circondavano.

Assorta nella comparazione della diversità dei due mondi la Somma s’avviò lentamente all’appuntamento, godendosi ogni sfumatura del paesaggio circostante.

Giunta alla casa di Ingherin notò che l’uscio era spalancato ed una rapida occhiata all’interno le confermò che era deserta.

Che se ne fosse andata? Non la vedeva da molto tempo e poteva essere molto cambiata, ma sapeva in cuor suo che non l’avrebbe fatto dopo le rivelazioni ricevute.

Percorse il vialetto di sassolini bianchi che accostava i muri di pietra e girato l’angolo, la trovò china nella cura di alcuni rosai.

Ingherin si accorse della sua presenza e l’invitò a avvicinarsi senza sorridere e senza smettere di lavorare.

«Le rose da un po’ di tempo mi danno problemi.»

Monràh si avvicinò e notò le foglie dell’albero di rose rosse colpite da erosioni a mezzaluna.

«Oziorrinco!» diagnosticò senza tentennamenti.

«Già, l’infezione è iniziata in primavera, si è placata durante l’estate, ma ora sta riemergendo in modo piuttosto grave.»

Si guardarono negli occhi e la Somma si accorse che il velo di rancore sembrava caduto.

«Vedo che hai usato lo sbarramento ad anello» le disse indicando le piccole fasce di cartone fissate con filo di ferro a 40 cm da terra, lungo il tronco della pianta.

«Le ho spennellate con del vischio per catturare gli adulti durante la notte quando risalgono lungo la pianta. Il problema sono le larve che vivono nascoste nel terreno e danneggiano anche il resto dell’orto.» l’indicò con un cenno della mano.

Monràh osservò l’ampio appezzamento di terra coltivata e contornata da molte piante di rose.

«Ci vorrebbe dello zolfo, riesci a reperirlo da queste parti?»

«No, purtroppo qui non viene utilizzato! Pensavo d’andare a procuramelo io stessa, ma la zona vulcanica più vicina non mi permetterebbe di salvare in tempo le piante. Non sono stata abbastanza previdente, avrei dovuto muovermi durante l’estate.»

«Se ti fa piacere potrei fartene arrivare io, c’è un villaggio non molto distante da qui che lo preleva per noi. Sarebbe un peccato vedere distrutte queste magnifiche rose.»

«Te ne sarei grata.» il volto di Ingherin s’aprì in un sorriso mentre si alzava ritta davanti a lei.

«Mi spiacerebbe perdere la coltura di petali di rose di quest’anno: l’utilizzo moltissimo per curare le flogosi gengivali, ma…» aggiunse con malizia «non devo insegnarti quello che tu stessa mi hai trasmesso!»

La Somma distolse lo sguardo con modestia, s’allacciò la lunga veste avvolgendola su se stessa ed ancorandola alla cinta.

«Che ne dici d’un aiuto per rimuovere i lacci di vischio? Vedo che la cattura di quelle bestioline è stata proficua ed un po’ di movimento mi farà bene.»

Lavorarono in silenzio, come se togliere i parassiti equivalesse a rimuovere il rancore annidato nella rosa più importante di tutte: il loro cuore.

Bruciarono nel camino tutto il materiale raccolto prima di sedersi attorno al tavolo davanti ad una calda tazza di tè fumante e biscotti fatti in casa.

«Non avrei mai immaginato il proseguo della nostra storia.» cominciò la sciamana.

«Nemmeno io, anche se sapevo che un’amicizia come la nostra non poteva terminare in un modo tanto ingiusto.»

«Abbiamo arso quei parassiti, bruciamo allo stesso modo il nostro passato!» propose con saggezza Ingherin, rivelando l’antica purezza del suo cuore. «Non riesco a provare rancore per te, l’amore che sentivo allora è rimasto intatto sotto l’odio che lo celava, ma non potrò mai più essere la ragazza spensierata che conoscevi. Quella donna non esiste più.»

«Lo comprendo e non te lo chiederei mai!»

«Oggi sono una sciamana, ho una storia che è proseguita in una via divergente rispetto alla vostra. Molte delle cose che mi hai insegnato ad Atlantide mi hanno permesso di vivere una vita dignitosa anche qui anzi, per certi versi, il contatto con la natura mi ha arricchito maggiormente rispetto a come sarebbe potuto avvenire al Tempio.»

«È quello a cui pensavo mentre venivo qui. Questo abbraccio della natura, questo contatto con la Madre Cosmica… è qualcosa che tocca il corpo e lo Spirito insieme.»

«Altro tè?» le offrì Ingherin e senza aspettare risposta le riempì la tazza vuota.

«Tua figlia ti assomiglia?»

Il viso della Somma si rischiarò nel sentirla nominare.

«Assomiglia più a suo padre. È una brava ragazza dai riccioli biondi e lo sguardo limpido come il mare. Si accingeva a sbocciare prima che…» s’interruppe con un velo di malinconia nella voce «…accadesse il tutto. Le basi della sapienza dei Bianchi le conosce, ma le manca la pratica ed una guida sicura.»

«Ho deciso di accogliere la richiesta degli Dei. Ho riflettuto molto questa notte: il Tredicesimo membro del Tempio, una cosa del tutto nuova per noi. Se ci pensi tutto torna: il tredicesimo Archetipo è la morte che proietta oltre un universo conosciuto.»

«Esatto! Le nostre certezze ed abitudini cambieranno per sempre ed un giorno tutti ad Atlantide o nel mondo che verrà, ti riconosceranno il diritto di Maga del Tempio. Sarai la Tredicesima, l’occulta, colei che nel sacrificio di se stessa, permetterà di tramandare la nostra conoscenza.»

«Mi sembra incredibile!»

«Gli Dei lo sono!»

«Come dovrò procedere con lei quando arriverà qui?»

«Non lo so di preciso, ovviamente anche Phale ha il diritto di valutare la proposta che le faremo e non potevamo comunicargliela prima che tu l’accogliessi. Ho comunque il sospetto che non ci saranno problemi, tutti gli eventi che stanno accadendo hanno una loro logica, un filo conduttore che ci ha portati a questo momento.»

«Non ti dispiacerà privarti della crescita del tuo nipotino?»

Ingherin con cautela stava toccando il tasto delicato a cui Monràh evitava di pensare.

«È molto doloroso! È stato terribile accettare che la mia unica figlia sarebbe vissuta per il resto della nostra esistenza lontana da Atlantide e da noi ma i nostri figli non ci appartengono, hanno la loro vita, la loro avventura. Li mettiamo al mondo e quel primo taglio ombelicale c’insegna che i nostri corpi sono destinati a dividersi in un crescendo d’esperienze differenti.»

«Ma il legame spirituale rimane intatto, è il cordone d’argento che lega due esseri all’eternità dell’amore.» intervenne Ingherin con dolcezza, sapendo tuttavia che la Somma non aveva bisogno di lezioni.

«Sì!»

Le due donne si sorrisero con complicità e continuarono a parlare fittamente, inconsapevoli del passare del tempo, entrando ed uscendo dai contenuti più importanti del loro cuore.

«È permesso?»

Amiroth bussò all’uscio semichiuso e riportò alla realtà le due vecchie amiche. Quando realizzarono che mezzogiorno era ormai passato da un paio d’ore scoppiarono in una sonora risata satura della complicità ritrovata!

«È bellissimo vedervi di nuovo insieme!» affermò con semplicità il Sommo.

«Perdonami Amiroth, non mi sono accorta del tempo che passava!»

Monràh accompagnò il bacio ad un abbraccio.

«Ero preoccupato, ma conoscendovi non potevo che aspettarmi questo! Immagino quindi che tu abbia accettato l’incarico di seguire l’iniziazione di Phale.»

«Sì!» replicò con franchezza la vecchia sciamana. «Fino a quando la salute me lo permetterà, seguirò vostra figlia e le trasmetterò tutto quello che voi avete insegnato a me e…» ag-giunse «…anche tutto quello che voi non conoscete perché s’impara solo in questa parte del mondo.»

S’alzò dalla sedia e si avvicinò al camino, offrendo le scarne mani al suo calore.

«Mi farebbe piacere avervi come miei ospiti a pranzo.»

Amiroth sapeva che non avrebbero dovuto trattenersi oltre, il viaggio di ritorno era lungo e gli impegni dei Sommi non potevano essere tralasciati per troppo tempo, ma non ebbe il coraggio di disilludere la spontaneità dell’invito e dopo un breve cenno d’intesa con la compagna accettò l’ospitalità.

Il pomeriggio volò nel ricordo dei tempi passati e nella scoperta dei mutamenti avvenuti in ognuno di loro.

Prima di accomiatarsi la Somma, mentre stringeva in un abbraccio il corpo esile ed ossuto di Ingherin, le disse:

«Sapevo che saresti diventata una grande maga e me ne hai dato la conferma in questa occasione: ti sei trasmutata in una donna splendida! Ieri, mentre parlavi con noi il tuo corpo ha materializzato davanti ai nostri occhi, la tua luce interiore.»

Ingherin si sorprese, ma l’imbarazzo le impedì di commentare ed abbracciò con vigore gli antichi amici.

«Posso comunicare con te in astrale?» le chiese la Somma prima di accomiatarsi.

«È da molto tempo che non mi dedico a quella pratica perché non volevo correre il rischio di fare brutti incontri.» affermò senza imbarazzo.

«Certe cose non si dimenticano, eri bravissima al Tempio e lo sarai ancora. Se avrai bisogno d’aiuto i Dodici saranno sempre accanto a te, ricordalo!»

Sulla strada del ritorno i Sommi si godettero il felice epilogo di quella storia, non parlarono quasi mai, ma le loro anime, unite dall’amore che si era bagnato di se stesso, grondavano di piacere.

«Partiremo domani mattina sul presto, credo che il locandiere non sarà dispiaciuto di ospitarci per un’altra notte.»

«Penso di no, ho visto che l’hai pagato molto più del dovuto.» affermò maliziosamente la compagna.

«Si è molto incuriosito quando ho parlato dell’origine atlantidea di Ingherin e mentre eri via ha provato a toccare nuovamente l’argomento.»

«Lasciamolo nella sua curiosità. Se Ingerin non ha volto farne parola con gli abitanti del villaggio dobbiamo rispettare la sua scelta; per il dubbio, probabilmente, da oggi in poi la rispetteranno maggiormente. Lasceremo una generosa mancia e vorrei che da queste parti venisse rafforzato anche il commercio. Ingherin aveva bisogno di zolfo, ma in paese non lo vendono, né conoscono le sue proprietà.»

«Cercheremo di rendere questo posto il più comodo possibile per le necessità di nostra figlia.»

«Non troppo amore mio!» Monràh si fermò sul posto costringendolo a guardarla negli occhi.

«Gli Dei non ci hanno spiegato alla lettera cosa accadrà, ma da quanto ho capito è importante che i nuovi Iniziati vivano a contatto diretto con le difficoltà della Terra al suo stato primordiale. Se portassimo Atlantide qui, non potrebbe accadere.»

Amiroth riflettè in silenzio accogliendo l’osservazione.

«Se tutte le nostre conoscenze s’inabisseranno, la nuova razza dovrà essere in grado di sopravvivere con le proprie forze ed i migliori insegnanti in questo senso, nonostante tutta la nostra evoluzione, sono proprio i barbari.»

Amiroth sorrise divertito di fronte a quella verità e lasciò che la compagna gli tirasse la barba in un gesto affettuoso.

«Credo tu abbia ragione, come sempre!»

«La nostra presenza qui deve essere solo d’ordine spirituale. Phale ed il bambino dovranno imparare cosa significhi vivere la materia in condizioni difficili e dovranno trasmettere il loro sapere alle generazioni che verranno.»

«Pensi sia questo lo scopo degli Dei?»

«Non credo, ho riflettuto a lungo e ritengo che sia solo una conseguenza di uno scopo molto più evoluto.»

«Quale?» chiese incuriosito.

«Se il figlio che porta in grembo Phale è per metà Bianco e per metà Nero, suppongo che si voglia creare una razza spirituale che contenga entrambe le polarità.»

«Non credo sia un’altra Lemuria, i suoi abitanti comunicavano con gli Dei senza alcun velo ed ogni loro richiesta veniva esaudita in un piatto d’oro e senza alcuno sforzo.» osservò Amiroth acutamente.

«Esatto! Invece la nuova razza dovrà vivere qui, fra i barbari, in un ambiente ostile e credo, con un contatto con gli Dei molto limitato.»

«La Profezia afferma che i lumi verranno oscurati dalla loro ombra, segno evidente che ci sarà confusione dentro ogni uomo e che l’antica sapienza dormirà in bare di cristallo fino al momento del risveglio. Credo che la nuova razza dovrà scoprire da sola il suo reale lignaggio, probabilmente gli Ariani non si ricorderanno chi sono fino a quel momento.»

Amiroth tacque riflettendo in silenzio e meravigliandosi nonostante tutta la sua esperienza, dei grandi disegni progettati dagli Dei.

Giunti alla locanda si godettero il tepore del camino con i ciocchi di legno che scoppiettavano e crepitavano allegramente; l’autunno era alle porte e la fresca brezza serale ne denunciava l’imminente arrivo.

Il viaggio di ritorno verso Keor fu privo d’intoppi e carico di leggerezza, si sentivano entrambi più sereni.

Appena Rechel li vide all’orizzonte gli corse incontro con l’orlo della tunica sollevato per avere più agilità.

«Sembri una ragazzina con quella treccia svolazzante e le gonne alzate!» la Somma la canzonò divertita mentre l’accoglieva in un abbraccio caloroso.

«Finalmente siete tornati! Non sono abituata alla tua assenza Monràh!»

La scostò per la lunghezza degli avambracci ed aggiunse:

«Dalla tua espressione soddisfatta immagino che le cose siano andate bene!»

«Sono andate meglio del previsto, è stato emozionante riabbracciare Ingherin! L’ho desiderato così a lungo che mi è sembrato un miracolo!»

«Io non ho mai avuto dubbi riguardo alla vostra riappacificazione! Sei la Somma del Tempio di Mutef, la guida spirituale che ci permette di orientarci senza mai cadere, sei Monràh!»

Risero entrambe e s’incamminarono verso gli scalini del Tempio sulla cui cima si era radunata una piccola folla festante.

Amiroth, dopo i dovuti saluti invitò i Dodici a riunirsi nella Sala del Consiglio per un aggiornamento che non vedeva l’ora di condividere.

«Non desideri riposare almeno un po’ amico mio?» gli chiese con premura Paloth.

Ho poltrito anche troppo in nave e semmai, necessito di movimento.»

«Ne sono lieto! Senza di voi il Tempio sembrava morto.»

Vedere i volti familiari dei Dodici riuniti attorno alla tavola rotonda della Sala del Consiglio riempì il cuore dei Sommi d’un caldo senso di fratellanza.

Amiroth li informò sull'esito del viaggio ed aggiunse con serietà:

«C’è qualcosa di nuovo che dobbiamo introdurre ad Atlantide, non è mai stata presa una decisione del genere, ma i tempi stanno cambiando e gli Dei c’invitano a mutare le nostre regole. Il limite costituito dal numero dodici che da millenni fa parte della nostra tradizione, dovrà essere superato.»

L’attenzione nella stanza era totale ed il Sommo proseguì consapevole dell’importanza del momento.

«I Dodici per il mondo intero rimarranno dodici, ma da oggi, solo fra noi, saremo i Tredici. L’unità occulta, Ingherin e la discendenza che verrà e che presumo sarà costituita da mia figlia Phale, è quella che permetterà la trasformazione continua dell’essenza spirituale del cuore di Atlantide. Non potrà, né dovrà mai essere rivelato a nessuno questo particolare, gli eventi che ci aspettano sono apocalittici e mantenere il riserbo è essenziale per non creare inutile panico fra la popolazione. Inoltre» aggiunse cercando conferma da Monràh che al pari degli altri era completamente assorbita dalla solennità dell’evento «la mia amata mi ha fatto notare riflettendo sulla Profezia, che il nucleo profondo della nostra conoscenza rimarrà celato agli occhi ed alle orecchie della nuova razza. A quanto pare solo pochissimi fra loro riusciranno a risvegliare la saggezza sepolta. Immagino che tutti dovranno conoscere la verità solo se sapranno riconoscere la vita e l’esistenza della tredicesima unità, la sacrificata e per questo benedetta dagli Dei.»

L’assenso dei Dodici fu totale ed attraverso il potere della parola forgiarono la nuova realtà, creando una forma pensiero che potesse contenerla da quel momento ai tempi che sarebbero venuti. La sigillarono in modo che potesse essere rivelata solo agli uomini della nuova razza divenuti degni di toccare la sapienza antichissima dei Dodici.

«La tredicesima entità» aggiunse alzandosi solennemente dalla propria sedia «sarà l’accesso alla nostra dimensione, al nostro potere che preserveremo affinché non cada in mani sbagliate.»

Intervenne Paloth.

«La nostra sapienza in mano ai Neri potrebbe determinare la distruzione dell’intero pianeta, dobbiamo essere certi che l’uomo che giungerà alle porte della nostra realtà, sia davvero in grado di non danneggiare il prossimo.»

Monràh si alzò dalla propria sedia ed aggiunse un posto alla tavola rotonda prima di annunciare:

«La tredicesima sedia! Propongo di lasciarla sempre lì, vuota con il corpo, ma occupata con lo Spirito.»