31) Un ultimo saluto

Trascus e Gelky ESCAPE='HTML'

Erano ormai tre giorni che camminavano e la situazione fra i due giovani sembrava definitivamente compromessa.

«Potresti anche rallentare!» Gelkares furiosa tentava disperatamente di tenere il passo di Trascus, ma l’impresa era ardua.

«È necessario che ti abitui ai ritmi di questa parte del mondo, non sei più una principessa di Atlantide.»

«Non ti ho mai chiesto di avere un trattamento di riguardo e ti ho pregato di rallentare!»

Trascus si bloccò sul posto, si girò lentamente verso di lei, pronto ad affrontare la battaglia.

«Sei solo una bambina viziata!»

«Non credo proprio, ci eravamo fatti una promessa prima di partire e ti stai comportando in modo davvero vile! Che cosa ho fatto per meritare un trattamento del genere?»

Trascus sapeva che aveva ragione, ma non poteva non pensare che al posto suo in quel momento, ci sarebbe potuta essere la donna che amava.

«Hai promesso di proteggermi e di amarmi e questo secondo il mio punto di vista non corrisponde al modo in cui mi stai trattando!»

Una brezza gelida annunciò che era in azione una sonda astrale e Trascus avvertì tutti i sensi contrarsi dall’azione dell’adrenalina.

«Taci, la strega è qui vicino!» l’ammonì con un categorico cenno della mano.

«Non cambiare discorso! Non me ne frega niente di quella befana di Mhanna! Affrontiamo una volta per tutte la verità…tanto la conosciamo entrambi.» la voce aveva assunto un tono stridulo.

«Gelky per favore, c’è la sonda di Mhanna, è vicinissima… schermati!» cercò di convincerla con un tono più accondiscendente.

«Non mi schermo, che ci trovi pure e che sia quello che deve essere! Sono stanca di scappare e comunque cosa potrei fare in questo posto da sola? Se hai intenzione di trattarmi così per il resto della nostra vita tanto vale essere presa da Mhanna! È meglio farla finita in questo momento piuttosto che accettare la morte lenta che hai deciso di riservarmi!»

Trascus tacque e cercò di schermarsi al meglio delle sue possibilità che peraltro sapeva piuttosto deboli.

Gelkares invece allargò le braccia al cielo in segno di resa, sembrava impazzita.

«Sono qui Mhanna, vieni a prendermi! Mi volevi? Sono insieme allo schiavo… qui… sì… dai…»

E Mhanna arrivò e la vide: si accorse che ribolliva di rancore, ma non riuscì subito a comprendere verso a chi od a cosa era rivolto. Osservando con più attenzione percepì un tremolio ad un paio di metri di distanza e la forma dello schiavo le si materializzò davanti nitidamente.

Eccolo il punto d’aggancio, lo vedeva con estrema chiarezza e si premurò di stamparselo nella memoria con dovizia di particolari. Mahina non era presente in quel momento o almeno non la riusciva a percepire ma Trascus era una preda facile ed avrebbe potuto leggergli la mente con facilità.

Gelkares nel frattempo, avvertendo la morsa gelida stritolarle l’anima, si riprese e spaventata si schermò, ma sapeva che era troppo tardi.

La Maga Nera ghignò trionfante, ora aveva dentro di sé l’immagine chiara di Trascus, il punto d’aggancio ed anche se in quel momento doveva uscire dall’astrale per non rimanervi imprigionata, il più era fatto.

«Sembra se ne sia andata!» il cuore di Trascus gli martellava furiosamente nel petto.

Gelkares era dilaniata dai sensi di colpa e dalla vergogna.

«Che cosa ho combinato, mio Dio!» si teneva la testa fra le mani ed aveva gli occhi sbarrati dall’orrore.

Trascus osservò la sua disperazione ma non riuscì a provare compassione.

«Mi sono schermato come ho potuto, ma ho avvertito benissimo la sua presenza dentro di me, mi ha guardato con attenzione, sentivo quegli occhi malvagi scrutarmi nel profondo! Ti rendi conto di cosa hai fatto? Se ti fossi schermata anche tu, anche se non sono ancora bravissimo, non si sarebbe accorta di me!»

«Oh Dea, che cosa ho combinato!» sembrava un mantra e Trascus si allontanò da lei al colmo dell’irritazione.

Tornò qualche tempo dopo ed avendo riacquistato più autocontrollo preparò un improvvisato campo di ristoro in una zona riparata dagli alberi.

Quando tutto fu pronto decise di rompere il silenzio.

«Cosa pensi accadrà adesso? Voglio che tu sia sincera, non conosco il vostro mondo e voglio essere pronto a ciò che dovremo affrontare.»

«Tu sei il punto d’aggancio! Adesso sa chi sei, conosce il tuo nome e l’aspetto che hai ed ovunque ti troverai lei t’individuerà, creando dentro di sè la forma pensiero che ti corrisponde.» l’erudì con afflizione.

Trascus tacque stringendo le labbra in una morsa di rassegnazione.

«Ti leggerà nella mente e tutto quello che pensi lei lo saprà. Entrerà nei tuoi sogni, normalmente è quello il metodo preferito perché nel sonno un individuo comune non è difeso dalla coscienza. Creerà degli scenari onirici che ti spingeranno a fornirle le risposte che desidera, ma non te ne accorgerai.»

«Quindi potrebbe indurmi a rivelare il luogo in cui si trova Phale ed anche scoprire il suo nome spirituale?»

«Sì e con molta facilità. I Bianchi durante il sonno sono vegliati dal loro Fetch che impedisce qualsiasi intrusione esterna, ma gli uomini comuni non hanno questa connessione e sono completamente esposti.»

Un silenzio carico d’angoscia calò fra loro per diverso tempo. Gelkares l’interruppe non riuscendo più a sopportarlo, senza tuttavia avere il coraggio di avvicinarsi troppo a lui.

«Oh Trascus, mi dispiace così tanto, sono stata una sciocca! Ti amo e non voglio perderti!»

«Mi sento impotente di fronte a quello che abbiamo davanti, la mia forza è inutile contro la magia.» appariva sconfitto.

«Lo so ed è tutta colpa mia.»

«Ora Phale ed i centauri sono in pericolo.» continuò.

Sentendo pronunciare il nome della rivale, Gelkares s’alzò di scatto e si allontanò per calmare il nuovo accesso di gelosia.

“Tutto sommato è meglio che lei muoia, i nostri problemi svaniranno senza la sua presenza.”

Provò un moto di vergogna a quel pensiero, ma la gelosia prevaricava ogni altra emozione.

Camminò per mezz’ora a passo spedito in modo da scaricare la rabbia quando uno scricchiolio fra gli alberi accentrò la sua coscienza; cercò d’individuarne l’origine, ma non notò nulla di particolare.

Fu colta da una fastidiosa sensazione di disagio e realizzò che non era stata una buona idea allontanarsi da Trascus: era disarmata e non conosceva quel territorio né gli eventuali pericoli. Decise di tornare sui suoi passi, ma la sensazione di una presenza che la seguiva aumentò.

Senza rendersene conto accelerò il passo e fu allora che li vide: si trattava di due Barbari dalla pelle piuttosto scura, avvolti in corte tuniche di pelle di leopardo ed il volto ricoperto da strani tatuaggi rossi e bianchi.

Ciò che la privò d’ogni pensiero razionale tuttavia, fu la vista delle lance che impugnavano e che le ricordavano quelle usate per uccidere la madre di Pil.

Invasa dal terrore iniziò a correre a perdifiato invocando il nome di Trasus anche se lo sapeva troppo lontano per udirla.

I Barbari correvano agilmente fra la vegetazione, bramosi di raggiungere la preda e le distanze si accorciarono velocemente.

Quando Gelkares si voltò per controllare la loro posizione inciampò in una radice d’albero che spuntava dal terreno e cadde a terra. Urlò per il dolore alla caviglia, ma il grido si spense quando alzando lo sguardo, vide i due selvaggi ghignanti sopra di lei.

In un moto di disperazione chiamò Trascus con quanto fiato aveva in gola, ma dovette soccombere all’assalto di uno dei due, quando le si avventò sopra.

Il puzzo di sudore rancido le ferì l’olfatto provocandole un conato di vomito che si estinse nelle pozze nere che la stavano fissando con interesse: Gelkares era diversa dalle donne della sua tribù e per questo risultava molto più attraente dell'usuale.

Un grido alle loro spalle annunciò l’arrivo di Trascus ed il selvaggio cadde riverso a terra con il pugnale conficcato fra le scapole, senza avere avuto il tempo di realizzare il motivo della propria morte.

Una rapida occhiata allo stato di benessere dell’amica e subito si dedicò al secondo avversario che si stava avventando con ferocia su di lui, brandendo la lancia.

Evitò il primo colpo scostandosi di lato e distanziandolo d’un paio di metri.

Trascus comprese di avere davanti un vero guerriero dal modo in cui misurava la sua forza con lo sguardo.

Quando aveva udito le grida dell’amica era andato a cercarla già da un pezzo; si era preoccupato per la lunga assenza, ma aveva portato con sé solo il pugnale ed in quel momento si trovava conficcato nella schiena del morto.

Doveva riuscire a prenderlo, ma l’avversario si accorse delle sue intenzioni e con una mossa fulminea si mise davanti al corpo del compagno.

Il Barbaro era consapevole del vantaggio, la sua lancia non avrebbe mancato il colpo, ma Trascus riuscì con un balzo ad evitarla una seconda volta.

Poteva uscire vivo dallo scontro solo grazie all’inganno e senza riflettere urlò una parola priva di senso, indicandosi contemporaneamente il piede destro: era un trucco che gli aveva insegnato il fratello durante i loro giochi. Il guerriero si distrasse quella frazione di secondo sufficiente a sbilanciarlo, grazie ad un poderoso calcio ad uno stinco. Poi con tutto il suo peso Trascus lo caricò colpendolo all’addome e spingendolo oltre il corpo inerte del compagno; con velocità estrasse il pugnale avvertendo il risucchio degli organi interni e si preparò ad affrontare armato, l’avversario.

Il Barbaro era un abile combattente ed una volta compreso lo stile di Trascus, gli si adeguò con lo scopo di sfiancarne la resistenza: i colpi che gli lanciava erano mirati ma non incisivi. Dopo dieci minuti di quel balletto sanguinario era ormai riuscito ad ottenere l’effetto desiderato; in un attimo d’incertezza di Trascus lo caricò con tutta la sua potenza. Fu tuttavia respinto con forza sufficiente a sbilanciarlo.

Trascus sapeva che doveva ucciderlo in quell’istante di sospensione e trovando dentro di sé le risorse necessarie, si lanciò con tutto il corpo verso i polpacci del guerriero, calciandoli con estrema potenza. L’uomo cadde a terra perdendo la lancia ed in un attimo si trovò ad affrontare un corpo a corpo con l’avversario: erano entrambi molto forti e nessuno dei due sembrava volere cedere.

Il Barbaro riuscì ad impadronirsi del pugnale che Trascus aveva fra le mani e con una mossa fulminea l’inchiodò sotto il peso del proprio corpo nel tentativo di piantarglielo in gola. Trascus cercava di resistere, la punta della lama era ormai prossima alla perforazione della giugulare quando inaspettatamente il corpo del guerriero perse la presa. In un impeto di coraggio Gelkares era intervenuta in suo aiuto e dopo avere raccolto la lancia abbandonata del guerriero, lo aveva colpito di piatto in testa con la forza della disperazione.

Preso alla sprovvista il Barbaro la guardò con odio e si avventò su di lei strappandole la lancia dalle mani, ma Trascus gli era alle spalle e l’assalì nuovamente.

Il guerriero riuscì, prima d’affrontare il suo mortale nemico, a conficcare la lama nell’ addome di Gelkares che sbarrò gli occhi in un grido di stupito dolore.

«Noooo…»

La furia di Trascus si abbattè sull’uomo alla vista della ferita inflitta all’amica e per il guerriero non ci fu scampo.

Dopo averlo preso ripetutamente a pugni fino a fargli perdere i sensi, gli piantò il pugnale in gola, provocando uno spruzzo di sangue arterioso che lo inondò come una fontana.

Si voltò immediatamente verso l’amica che giaceva riversa a terra in un lago di sangue.

«Gelky… Gelky…» chiamò con disperazione, ma perfettamente consapevole della sua imminente morte.

«Trascus… mi dispiace tanto…» tartagliò con voce soffocata.

«Taci, non parlare!»

Gelkares osservò con sorpresa il sangue sul volto dell’amato: era stemperato dalle calde lacrime che stava versando per lei.

In quel momento provava una pace senza confini e non avvertiva più alcun dolore.

«Trascus, stai piangendo per me…»

«E per chi se no? Non pensare di lasciarmi solo, devi conoscere la mia famiglia, dobbiamo fare tanti bambini, me l’hai promesso!» la supplicò con angoscia.

«Trascus… è tutto a posto! Lo so, non sembra, ma mi sento bene, non sento male. Sei venuto a salvarmi… significa che t’importa qualcosa di me…»

«Certo che ti amo stupidina, sei sempre stata nei miei pensieri.» mentì con compassione.

«Mi dispiace ho combinato un guaio, ora Phale è in pericolo. Devi stare attento!»

«Non parlare, non affaticarti… ti prego non lasciarmi Gelky… rimani con me!»

Il respiro che abbandonava in un ultimo soffio vitale il corpo di Gelkares, gli annunciò che se ne era andata per sempre.

Trascus pianse come un bambino, si sentiva colpevole per non averle impedito di allontanarsi, per non averla consolata; in fondo aveva solo paura di rimanere sola e non sarebbe morta se le fosse stato accanto.

Il cinguettio degli uccelli che cantavano fra gli alberi ed annunciavano la fine della giornata lo riportò alla realtà. Guardò con disprezzo i corpi dei due guerrieri e tornò all’accampamento portando fra le braccia il cadavere dell’amica.

Le ultime braci del falò si stavano ormai spegnendo e dopo aver deposto Gelkares a terra con estrema delicatezza, si preoccupò di riattizzarlo.

Per seppellirla individuò un punto poco distante in cui il terreno era piuttosto friabile: non aveva alcun attrezzo per scavare e lo fece a mani nude.

Ci vollero parecchie ore per ottenere una fossa abbastanza fonda e sotto lo sguardo delle Lune che illuminavano fiocamente il suo lavoro, vi depositò Gelkares e la seppellì.

Non sapeva pregare, non si ricordava gli insegnamenti della madre e da schiavo era così arrabbiato con gli Dei che aveva chiuso ogni possibile comunicazione.

Poi aveva conosciuto quelle due Bianche, con quella strana fede nei loro Dei, con la loro assurda magia e le sue sicurezze avevano cominciato a vacillare.

«Io non so pregare e non so se ci siete davvero da qualche parte. So di non essere nessuno e che probabilmente non sono degno di essere ascoltato da voi, non so come fare, ma… se esistete davvero vi prego, accogliete questa donna e proteggetela. Fate in modo che arrivi sana e salva dovunque ella debba andare. Vi prego con tutto il mio cuore.» concluse con somma commozione.

Il bubbolio d’un gufo rispose alla preghiera, ma non riuscì a fargli percepire il contatto con gli Dei come aveva visto accadere alle sue compagne di viaggio.

Si sentiva spossato moralmente e fisicamente, ma sapeva che se si fosse addormentato Mhanna lo avrebbe trovato.

Cercò di resistere, ma aveva così sonno che gli occhi gli si chiusero spontaneamente e la Maga Nera arrivò.

Aveva assunto le sembianze di Phale e Trascus sentì il cuore esplodergli di gioia quando la vide in lontananza, bellissima con i ricci scompigliati dal vento; rideva felice mentre gli correva incontro.

«Phale… Phale sei qui e stai bene!» l’abbracciò colmo d’amore.

“Phale?” pensò Mhanna incuriosita.

“Perché mi chiami così?” gli chiese.

«Ma dai, lo sai! È il nome che ti ha dato il Fetch per la tua nuova vita!» rise divertito e la strinse ancora più forte a sé.

“Non avresti voglia di tornare da me?” si scostò da lui con delicatezza guardandolo con profonda commozione negli occhi.

«Anche subito!»

“Pensa al posto in cui mi hai lasciata, fammi vedere…”

Trascus visualizzò il lago e le cascate, l’entrata, la protezione magica per accedervi e Mhanna ebbe così tutte le informazioni che le interessavano.

Quello stupido schiavo si era invaghito della figlia dei Sommi ed era assolutamente inconcepibile.

Poteva essere divertente utilizzare quella cosa per far soffrire maggiormente Mahina o meglio, Phale. Sapere il suo nome spirituale avrebbe potuto esserle utile anche se la ragazza era in grado di schermarsi perfettamente dai suoi assalti.

“Trascus sai che questo è un sogno vero?” l’informò la maga.

«Un sogno? Sì, forse… ma non riesco a cogliere la differenza con la realtà.»

In un lampo il volto di Phale si trasformò in quello di Mhanna e Trascus si staccò da lei con orrore.

«Tu? Vattene brutta megera!»

La Maga Nera era perfettamente calma e padrona di sé.

“Mio caro è un piacere rivederti.”

«Ti odio… ti odio per tutto quello che mi hai fatto, sei una maledetta strega!»

“Le tue parole sono musica per me ma dimmi… che cosa ti avrei fatto di tanto terribile? Sei solo uno schiavo e non dò molta importanza a quelli come te. E tu cosa fai? Ti vai ad innamorare della figlia di Amiroth e Monràh? Credi davvero di poterla avere? Non hai alcuna possibilità!”

Percepiva il dolore di Trascus ed il piacere che provava la spinse a continuare.

“Mahina… Phale… chiamala come vuoi, non potrà mai appartenere al corpo di un Barbaro, non è permesso dagli Dei. Nessuno te lo ha ancora detto?”

Trascus si sentiva atterrito e desiderava reagire con tutto se stesso, ma una forza misteriosa, a cui non riusciva a sottrarsi, lo inchiodava sul posto.

«Tu mi hai costretto ad uccidere mio fratello, sei solo una strega, un essere orribile!»

Mhanna gioì divertita dall’accusa.

“Oh certo, il rito del cuore! È quello che ti ha così spaventato? È un rito semplicissimo, lo facciamo continuamente: serve a renderci più forti. Rompere un legame d’amore nemmeno immagini quanta energia regali a chi la sa veicolare nel modo adeguato. Ma niente di speciale. Sei solo uno stupido schiavo, avrei dovuto uccidere anche te, ma in quel momento non sarebbe stato di alcuna utilità, per questo sei ancora vivo. Quello che ho incanalato è l’orrore provato da tuo fratello mentre lo uccidevi… è quello il momento importante, l’energia che volevo.”

Trascus piangeva disperatamente, perduto nel ricordo del terribile istante in cui gli occhi del fratello, chiedevano muti una spiegazione: l’ipnosi a cui la maga lo aveva assoggettato era stata una forza invincibile che aveva guidato il pugnale che aveva fra le mani, nel cuore del fratello.

“Povero inutile schiavo, sai cosa farò ora? Andrò a prendere quella stupida ragazza e l’ucciderò con le mie mani, ma lo farò nel modo più divertente possibile. Il piacere di togliere la vita è sublime ed anche tu lo sai: credi che gli uomini che uccidi tu abbiano meno valore?”

Trascus taceva d’impotenza ed orrore di fronte alle accuse che in fondo, riteneva di meritare.

“Vuole andare da Phale, vuole ucciderla, devo salvarla!” pensò.

Mhanna captando i suoi pensieri riempì l’astrale con il suo ghigno feroce!

“Vuoi andare a salvarla? Ma bene, ci divertiremo di più! Quello che volevo da te me lo sono preso e quando avrò catturato Phale ricorda che sei stato tu la causa di quello che le farò e… sbaglio o sta per nascere il bambino?”

Trascus si svegliò di colpo con il cuore colmo d’orrore.

Doveva fare qualcosa, era necessario avvertire Phale.

Raccolse i pochi oggetti personali e partì mentre la prima stella del mattino annunciava l’arrivo imminente d’una nuova giornata.