29 )Un addio doloroso

Statuetta di Phale ESCAPE='HTML'

La convalescenza di Trascus era scandita dai ritmi tranquilli delle abitudini della pacifica comunità di centauri.

Nonostante il clima al di fuori della dimensione protetta in cui vivevano fosse ormai rigido, il suo interno manteneva una temperatura mite grazie al vulcano inattivo che l'ospitava ed i mesi passavano pigramente.

La gravidanza di Phale era ormai giunta al termine cosa che a Trascus risultava particolarmente evidente quando, come ogni mattina, si recavano insieme al lago per il bagno.

Il pomeriggio lo dedicava alla conoscenza dell’affascinante luogo che li stava ospitando. Nello stato di schiavitù non aveva avuto modo d’assaporare la bellezza di Atlantide ed i ricordi di quando era bambino e viveva nella tribù si erano affievoliti nel tempo; era la prima volta che poteva vivere senza paura e con leggerezza, con lo stupore di chi scopre cose nuove ed interessanti.

Gelkares in quei mesi aveva sviluppato un attaccamento morboso nei confronti di Trascus e Phale si era accorta che il ragazzo stava iniziando a manifestare una forte intolleranza.

Per evitare conflitti portava con sé Gelkares alla ricerca di piante medicinali nei dintorni del lago; spesso Greth si univa a loro.

Nei momenti liberi aveva cominciato ad erudire i centauri sulle tecniche di schermatura contro le sonde astrali dei Neri e si meravigliò moltissimo della loro abilità e velocità d’apprendimento.

Constatando che non sapevano leggere né scrivere decise di proporre a Gelkares di diventare la maestra della tribù e l’invito fu accolto con entusiasmo sia dai centauri che dall’amica.

«Cosa stai facendo di bello?» chiese Phale a Trascus vedendolo incidere con un coltellino un informe blocco di legno.

«Sto facendo te!» sorrise senza alzare gli occhi dal suo lavoro.

Lavorava con perizia ed un primo abbozzo dell’opera stava prendendo forma velocemente.

«Dove hai imparato a intagliare il legno?» domandò incuriosita.

«Quando quella megera al Tempio si è stancata di me…» si fermò con un’espressione di disgusto che gli piegò gli angoli della bocca «…sono stato acquistato da una famiglia di Neri appassionati d’arte. Ero solo uno schiavo, ma venivo trattato relativamente bene. Un giorno per curiosità, pensando che il laboratorio dove il padrone si dedicava ai lavori artistici fosse deserto, ho provato a lavorare della creta che sembrava mi stesse chiamando. Ti giuro» le disse mantenendo per un attimo il coltellino sospeso in aria e guardandola negli occhi «non avevo mai provato una sensazione come quella. Sapevo cosa fare e come operare anche se nessuno me lo aveva insegnato. Le mie mani sembravano avere vita propria e nel giro di pochissimo tempo ho creato un busto di donna. Ero così stupito che non sapevo cosa pensare. Fui interrotto da una voce burrascosa alle mie spalle: la padrona era entrata silenziosamente nel laboratorio prendendomi nel sacco. Sapevo che mi sarebbe toccata una punizione esemplare ed invece non andò così. Si avvicinò alla scultura, l’ispezionò girandogli attorno con curiosità e poi mi penetrò con lo sguardo.

“Sei davvero incredibile, hai delle capacità notevoli! Chi ti ha insegnato?”

“Nessuno padrona, nemmeno io pensavo d’essere in grado di realizzare una cosa del genere. Ho naturalmente visto il padrone all’opera, come usa la creta, ma non credevo di riuscire a fare questo!”

Trascus interruppe il racconto per qualche secondo con lo sguardo sospeso nel vuoto e continuò: «Da quel giorno le mie condizioni di vita in quella famiglia cambiarono: la padrona voleva essere scolpita in vari modi e mi forniva il materiale necessario. Il padrone mi ha insegnato a scolpire la creta, ad incidere il rame, a dipingere e ad intagliare il legno.» concluse piegando in un flebile sorriso gli angoli della bocca.

Mentre osservava ipnotizzata la delicatezza con cui Trascus utilizzava le mani in quel lavoro, Phale si chiese come potessero essere al contempo capaci d’armeggiare con estrema potenza una spada. La riflessione scivolò inevitabilmente sul modo in cui avrebbero potuto accarezzarle il corpo ma cacciò con impegno il pensiero inopportuno.

«È bellissima, non vedo l’ora di vedere l’opera compiuta.» l’elogiò per distrarsi.

«Il tuo ventre è cresciuto molto, te ne sei accorta? Volevo scolpirti così, con quella rotondità, i seni pieni, il volto luminoso. Anche la tua opera sta per giungere al termine e non è minimamente paragonabile al mio umile lavoro.»

Phale arrossì d’imbarazzo, ma non riuscì a nascondergli la preoccupazione per la sua iniziativa.

«Non so come ringraziarti, sono davvero onorata per ciò che stai facendo ma… non pensi che Gelky si potrebbe irritare?»

A quella domanda Trascus s’infuriò.

«Gelky di qua, Gelky di là! Sai benissimo che non sono innamorato di lei ed a dirla tutta mi dà molto fastidio la sua vicinanza! Mi sento soffocare quasi come quando ero uno schiavo!»

Phale comprendeva i sentimenti di Trascus, ma non poteva in alcun modo illuderlo.

«Ne sono consapevole, ma avresti potuto scolpire lei in un primo tempo, per evitare conflitti inutili.»

«Tu sei una Bianca ed hai le tue regole, io sono un Barbaro ed ho le mie e non comprendono in alcun modo il mentire in amore. Dove sta la sapienza dei Bianchi se reprimete un sentimento puro come l’amore?»

«Non lo reprimiamo,semmai lo sublimiamo!» gli rispose priva di tentennamenti. «Non è facile» ammise a capo chino «ma non si può costruire la propria felicità sull’infelicità altrui. Quando si danneggia un altro individuo, l’anima s’infrange e quel pezzettino che riflette la nostra azione, ci allontana dall’integrità dello Spirito.»

Trascus l’interruppe con fastidio, non riuscendo a comprendere una cultura tanto differente dalla propria.

«È inutile che continui a spiegare, non riesco in alcun modo a vedere il buono in quello che dici. Io non amo Gelkares, ma tu pretendi che la tratti come se fosse vero ed io non posso farlo!»

Da quel momento si chiuse in un silenzio impenetrabile che Phale non riuscì ad infrangere fino al giorno seguente.

Trascus si era ormai completamente ristabilito e fu a colazione, mentre erano tutti riuniti in allegria, che annunciò le proprie intenzioni.

«È giunto per me il momento di andare! Ho deciso di partire questa mattina!»

Gli occhi dei presenti convergettero con stupore su di lui mentre il cuore di Phale perse un colpo.

«Ma cosa stai dicendo? Vuoi andartene proprio ora che siamo tranquilli?» il viso contratto dalla collera di Gelkares somigliava ad un vulcano pronto ad eruttare.

«Sbaglio o la nostra intenzione, sì anche la tua» l’accusò puntandole il dito contro «era quella di tornare alla mia tribù? Voglio rivedere la mia famiglia e non ho intenzione di seppellirmi in questo posto per tutta la vita. Non sono fuggito da Atlantide per rimanere rinchiuso in un’altra prigione.»

I centauri ascoltavano, tacendo rispettosamente.

«Ma Phale deve portare a termine la gravidanza e non credo sia saggio costringerla ad un viaggio così impegnativo!» argomentò Gelkares indicando il ventre dell’amica.

«Non nasconderti dietro la sua gravidanza! Vuoi venire con me o preferisci rimanere qui al sicuro? Non credo ti dispiacerebbe fare la maestra per sempre, hai trovato una tua dimensione, un tuo ruolo e penso che anche i centauri sarebbero felici di averti con loro.»

La ragazza abbassò lo sguardo con impotente irritazione e Greth decise d’intervenire.

«Rispetto la tua decisione amico mio e la comprendo, immagino il desiderio che hai trattenuto a lungo di riabbracciare la tua famiglia d’origine. Se volete andarvene fatelo pure, noi non vi poniamo alcun limite! Ci avete già trasmesso moltissimo e per questo vi saremo eternamente grati.»

Phale non voleva perderlo, non poteva averlo fisicamente, ma saperlo accanto a lei le era sufficiente. Si accorse ascoltando le parole della centaura tuttavia, del proprio egoismo che non aveva in alcun modo contemplato i reali bisogni dell’uomo che amava.

«Credo che Trascus abbia ragione! Non dovete rimanere qui solo perché ci sono io, sono al sicuro e protetta e avete già fatto tanto per me.» riconobbe rivolgendosi a Gelkares.

Trascus le lanciò uno sguardo colmo d’odio che sembrava ribollire ad ogni parola che Phale aggiungeva.

«Penso che sia giusto che ve ne andiate, le nostre strade devono dividersi qui e tu Gelky hai fatto una promessa a questo meraviglioso ragazzo, è grazie a lui che siamo ancora vive e ritengo sia giusto che tu la mantenga.»

Gelkares avvampò di vergogna mentre Trascus si alzò e si diresse furioso verso il lago.

Phale stava per rincorrerlo, ma fu trattenuta dalla mano di Greth.

«Lascialo andare, è un animale in gabbia qui.» la guardò con materna dolcezza.

Aveva ragione, ancora una volta non era riuscita a vedere i bisogni dell’unico uomo che avesse mai amato.

“Che razza di donna sono? Affermo d’amare un uomo e non faccio nulla per comprenderlo.” s’accusò mentalmente.

Lasciò il gruppo di centauri e si diresse con il cuore spezzato nella sua capanna. Era da molto che non piangeva e le lacrime scesero copiosamente.

Greth la raggiunse e Phale lasciò che l’amica la cullasse come faceva sua madre quando era bambina.

«Ci sono cose nella vita che dobbiamo lasciare accadere anche se non vorremmo. L’amore non è intrappolare un maschio in ciò che desideriamo. Il vero amore è lasciare che sia libero di essere ciò che desidera.»

«Non posso amarlo… se fosse per me partirei con lui anche adesso. Per quanto stia bene qui e credimi» l’assicurò fra le lacrime «sto veramente bene, è lui che vorrei più d’ogni altra cosa! Ma tu hai perfettamente ragione, devo lasciarlo libero! Ha scelto la sua strada che non potrà mai comprendere me!» continuò a singhiozzare mentre Greth cercava di calmarla con la sua gentilezza.

Qualche minuto dopo Gelkares si unì a loro, erompendo nella capanna con i lineamenti del volto ancora distorti dalla collera.

«Stai piangendo? Per lui?»

Greth si staccò da Phale e lasciò le due donne libere di confrontarsi.

«Sai perfettamente che la tua amicizia viene prima di tutto! Non ho alcuna intenzione di portarti via l’uomo che ami.» Phale aveva ritrovato un precario autocontrollo.

«Non sono così stupida, ho visto come ti fissa e come lo guardi tu!»

«Non posso mentirti e dirti che non provo niente per lui. Non l’ho cercato questo sentimento, ma non ho mai fatto nulla per incoraggiare Trascus, questo te lo posso giurare!»

«Non hai mai fatto niente e ti assicuro che non avrai modo di farlo.» l’odio di Gelkares era senza freni.

«Che vuoi dire?»

«Ho deciso di partire! Anche se qui sto bene come mi ha fatto notare Trascus, sono scappata da Atlantide per vivere il resto della mia vita con lui.»

Phale abbassò lo sguardo chiudendo il cuore e la mente ad ogni emozione per riuscire ad affrontare il conflitto.

«Penso che sia una buona scelta per noi ed anche per Trascus. Dopo tante sofferenze merita di riabbracciare la sua famiglia.» replicò con una calma che non pensava di possedere.

«Perfetto! Sono certa che te la caverai, ma del resto sei protetta dagli Dei! Non rischi niente, sei la figlia dei grandi Sommi di Keor!» il disprezzo nel tono di voce era palese.

«Mi spiace veramente sentirti parlare in questo modo, non credevo covassi tutto questo rancore.»

«Quando siamo partite non ne esisteva nemmeno una briciola, altrimenti non ti avrei certo offerto d’unirti a noi. Non potevo immaginare che avresti tentato di portarmi via l’uomo che amo!»

«Non te l’ho portato via!» tentò di correggerla.

«Certo, magari senza consapevolezza, ma non credere che non vi abbia guardato in questi mesi, il tuo parlare con lui fitto fitto, i vostri sguardi, le risate! Sai quanto male stavo in quei momenti?»

Phale abbassò lo sguardo colpevole e tacque di fronte all’accusa.

«Vado a comunicare a Trascus la mia decisione e mi farebbe piacere se tu non fossi presente alla partenza. Preferisco che ci lasciamo così, senza ipocrisia.»

«Come vuoi!» replicò Phale con il cuore stretto in una morsa gelida.

«Addio! Non credo ci rivedremo cara amica, ma se avverrà spero che per allora tu abbia trovato un uomo tutto per te.»

Phale era consapevole che nessuna argomentazione logica l’avrebbe potuta calmare.

«Addio, ti auguro tutta la felicità che meriti!» la salutò.

Uscì dalla capanna dopo aver ficcato malamente i pochi oggetti personali nello zaino.

Phale s’accasciò sul pagliericcio, paralizzata nelle emozioni e nella mente.

“Trascus se ne sarebbe andato” non riusciva a pensare ad altro.

Diversi minuti dopo avvertì il trambusto dei saluti seguito da un silenzio tombale.

Uno scricchiolio all’esterno della capanna annunciò la presenza di Greth ed il suo volto fece capolino dalla porta con discrezione.

«Hai bisogno di qualcosa?» le chiese.

«No, ti ringrazio.»

«Sono partiti, hanno fatto i bagagli in poco meno di mezz’ora e sono andati via.»

«Lo so, li ho sentiti.»

«Io ci sarò sempre per te amica mia!» la consolò Greth intuendo che non aveva alcuna voglia di risponderle.

«Lo so e te ne sono grata, ma adesso preferirei stare da sola.»

La centaura si allontanò con la medesima discrezione con cui era entrata e solo in quel momento Phale si premise di piangere.

“È meglio così, non aveva futuro il nostro amore e vederci continuamente lo avrebbe solo accresciuto.” cercò di consolarsi.

Ma sapeva che per quanto la ragione cercasse motivi validi per schermarla dalla sofferenza, il cuore rimaneva esposto.

Alcune ore dopo decise d’andare al lago, era ormai gennaio inoltrato e faceva piuttosto freddo all’aria aperta. Si spogliò e rimase senza respiro quando avvertì la sferzata d’aria gelida, sulla pelle nuda. Si trattò d’un attimo, quando s’immerse l’acqua calda l’avvolse ed il bambino reagì alla differenza termica scalciando come un torello. Si era abituata alla sua presenza e spesso rimaneva divertita ad osservare i ponfi che emergevano dal ventre quando si muoveva.

Nuotò tranquilla, lasciando che l’acqua ed il silenzio lenissero le sue ferite.

“Ci sei Phale?” era Monràh.

«Madre, sei qui!» Il cuore le balzò nel petto.

“Sì amore, cosa succede? La tua energia è… stai male?”

«Trascus se n’è andato questa mattina!» le rispose senza tanti preamboli.

“Trascus… capisco. Immagino se ne sia andata anche Gelkares.” indagò con perspicacia.

«Infatti, era il piano originario prima che mi unissi a loro.»

La Somma comprese al volo la questione, ma preferì non intervenire con frasi di circostanza e lasciare che la figlia elaborasse da sola il lutto.

“Credo che sia ora che tu ci dica chi è il padre del bambino.” il tono era deciso. “È importante anche per noi, sono accadute molte cose qui al Tempio ma sapere cosa è successo davvero ci aiuterebbe a compiere le scelte più opportune.”

«Pensavo lo sapeste già!» Phale era stupita.

“No, non ce l’hai mai detto ed io non mi permetterei mai di entrare nella tua mente per leggerne i contenuti.”

«Hai ragione madre, allora rimarrai turbata quando te lo rivelerò: si tratta di Thotme!»

La Somma fu attraversata da un fremito che per un attimo indebolì la connessione in astrale. Amiroth la stava conducendo davanti al dodecaedro al Tempio ed avvertendo quel brusco calo d’energia, si affrettò a sostenerla.

“Thotme è il padre?”

«Sì madre e mi dispiace dirtelo così, ma non è andata come credi, non ho scelto di stare con lui. Credo abbia usato la magia anche se non so in che termini.»

“Raccontami bambina.” disse la madre con più controllo.

«Ero insieme a Saros, ma poi c’è stato un vuoto, ricordo solo che quando mi sono ripresa avevo lui davanti. All’inizio pensavo di non ricordare perché ubriaca. È stato il mio Fetch a raccontarmi la verità altrimenti nemmeno io l’avrei saputa. Credevo fosse Saros il padre del bambino ed invece la realtà era un’altra…»

“Bambina mia, grazie di avere condiviso questa esperienza con noi. Come ti dicevo sono accadute cose importanti al Tempio. Saros ha dei legami continui con i Neri ed ora abbiamo una prova in più del suo coinvolgimento nella storia. Ci aiuterà a prendere le misure necessarie per proteggere te ed anche Keor.” la voce della Somma era colma di compassione.

«Mi dispiace non essere riuscita a dirtelo prima, mi vergognavo moltissimo.»

“Di cosa ti dovresti vergognare bambina mia? Hai subito una terribile violenza e non sei certo tu a dover provare imbarazzo! Ti voglio bene.”

«Anch’io madre!»

Phale si era aggrappata ad una roccia mentre parlava ed il corpo in astrale della madre fluttuava a filo d’acqua davanti a lei.

“C’è una cosa che volevo comunicarti, ne abbiamo parlato la volta scorsa, ricordi? C’è una sciamana che vive nei pressi della montagna di Haturi, si tratta di una delle mie più care amiche. È a tutti gli effetti una maga del Tempio di Smeraldo e sarà lei che ti trasmetterà le conoscenze che non potrai acquisire qui. Ha accettato di diventare la tua iniziatrice e credimi bambina mia, non avresti potuto desiderare di meglio.”

«Come può essere una di voi se non vive al Tempio?»

“Tutto muta nella vita ed anche al Tempio sono accaduti eventi che hanno cambiato per sempre le nostre regole. Non posso dirti di più, riguarda uno dei sigilli che si conquistano solo ascendendo, ma fidati delle mie parole.”

«Credo che terminerò la mia gravidanza qui, madre. Sono al sicuro e l’inverno in questo piccolo paradiso non lo si avverte quasi.»

“Come vuoi. Tu ed il bambino però, siete troppo importanti e credo tu abbia capito che siete i vettori attraverso cui la conoscenza di cui siamo custodi uscirà dai confini di Atlantide. Dovrà nascere una nuova razza e sarà nel mondo in cui sei ora che prospererà.”

«Non comprendo tutto madre, ma accetto le tue spiegazioni.»

“Il bambino sta bene, lo sento da qui, è molto vitale.”

«Sì, si muove come un torello.» il cuore di Phale si permise un sorriso di tenerezza.

“Nessuna madre può lenire le ferite d’amore dei propri figli e sì, non aggiungere nulla… ho capito che ami quel ragazzo, Trascus. Vedrai che il tuo bambino saprà darti tutto l’amore che in questo momento senti di avere perduto e ti riempirà il cuore come nessun uomo potrà mai fare.”

Phale si abbandonò ad una nuova ondata di lacrime.