9.

Una tremenda visione

Monràh e la visione  ESCAPE='HTML'

«Non l’ho mai vista in quelle condizioni, è meglio che tu vada da lei. Sembra aver perduto il suo proverbiale equilibrio, ha avuto una visione mentre parlavamo ed è come impazzita!»

Rechel era corsa da Amiroth preoccupata per le condizioni emotive della Somma.

«Vado!» esclamò senza lasciarle il tempo di terminare la frase.

Quando entrò nelle stanze della compagna la trovò trasfigurata dalla sofferenza e dalla preoccupazione.

«Amore, stai calma!» esordì avvicinandosi.

Senza attendere d'essere raggiunta Monràh gli si gettò fra le braccia cercando quel conforto che non riusciva a trovare nemmeno nella sua immensa fede.

«La nostra bambina, Amiroth, penso che le sia successo qualcosa di brutto.»

«Tesoro, non essere precipitosa, non è la prima volta che combina qualcosa lo sai bene. Non riusciamo a capire il suo gesto, ma vedrai che c’è una spiegazione logica.» la consolò cercando di modulare il proprio tono di voce per essere più incisivo.

In realtà occupare i vertici d’una grande comunità gli aveva insegnato l’arte di nascondere le proprie emozioni in favore del bene collettivo, ma non ne era immune. Dentro di sé tremava quanto la sua compagna ed era consapevole che la loro famiglia era il bersaglio privilegiato per i Neri, la cui brama di potere ardeva perennemente sotto la brace.

«Tu non capisci!» lo contraddisse Monràh negando con movimenti ripetuti della testa. «Ci sono stati i segni, ma c’è di più… l’ho vista! La Dea mi ha dato una visione di lei mentre fuggiva da qualcuno che la voleva uccidere e…»

«Racconta!» l’incoraggiò Amiroth.

«È terribile… era… era gravida. Era incinta Amiroth, di almeno otto mesi, anche di più.» s’interruppe soffiandosi rumorosamente il naso.

Amiroth rimase paralizzato di fronte alle rivelazioni. Monràh era dotata di poteri psichici superiori a qualsiasi altra maga della Confraternita, la divinazione era una peculiarità tutta al femminile e non aveva mai fallito in quel talento. Cercò comunque di darle consolazione.

«Tesoro, calmati. Sai bene che se non sei perfettamente in equilibrio le tue visioni potrebbero avere subito le interferenze delle Ombre. Lo sai, non devo ricordartelo, potrebbe esserci un’interpretazione differente!»

Monràh voleva credergli e cercò di tranquillizzarsi, di trovare un appiglio di fronte alla tremenda visione della figlia sola ed in pericolo.

Sapeva distinguere tuttavia, una visione reale da una fasulla: era il come la riceveva che faceva la differenza, la nitidezza delle forme, il momento inaspettato e non richiesto, la sensazione di star comunicando con la Dea.

«Ti sbagli Amiroth, questa cosa accadrà veramente. Che diavolo è accaduto alla nostra bambina? È per questo che è scappata? È incinta e non vuole farcelo sapere? L’avremmo comunque aiutata e poi posso dirlo? È ora di toglierla questa cosa degli Intoccabili. Che diritto abbiamo di giudicare la vita di un altro uomo, le sue scelte? Che diritto abbiamo di dirgli che se non è vergine nel corpo non lo è nello Spirito? Sai bene che sono due cose diverse e che spesso gli Intoccabili che abbiamo emarginato si sono comportati con rettitudine per il resto della loro esistenza. Il rispetto degli usi degli Antenati non dovrebbe essere prioritario alle richieste della nostra coscienza.»

Amiroth guardò la moglie con partecipazione pensandola allo stesso modo ma per cambiare una delle “leggi prime” di Keor bisognava avere il consenso non solo dei Dodici ma di tutta la popolazione dei Tre Distretti.

Uno sconvolgimento così radicale, che toccava il ricordo collettivo cristallizzato nelle coscienze di tutti, avrebbe sicuramente minato la loro credibilità con conseguenze difficili da prevedere.

Gli Intoccabili erano una realtà che affondava le proprie radici nelle pieghe di un tempo inimmaginabile, all’epoca dei Lemuriani quando il paradiso in cui viveva quel popolo fu spezzato dalla mancanza d’integrità di un solo uomo. Per contagio l’infezione si era espansa come un virus e fu l’inizio della loro fine.

L’integrità era la qualità indispensabile per viaggiare fra le dimensioni attraverso i tunnel e questi diventarono la loro tomba a causa della sua mancanza.

Il modo in cui i Lemuriani viaggiavano si era perduto nel tempo sebbene molti maghi-ricercatori, compreso lo stesso Amiroth, avessero tentato invano di scoprirne il segreto: i tunnel interdimensionali erano per gli Atlantidei solo il modo in cui i posatori convogliavano l’energia ovunque.

Il ricordo del primo Lemuriano che infettò tutti gli altri era rimasto cristallizzato nella coscienza collettiva degli Atlantidei e sradicarlo significava toccare il cuore di un dolore mai sopito.

Era impensabile sconvolgere l’ordine delle cose, non avevano il potere di farlo e lo sapevano entrambi, ma in quel momento non era la saggezza che guidava i loro pensieri bensì la disperazione.

Amiroth trovò la forza d’aggrapparsi alla guida sicura della ragione.

«Prendiamo la tua visone come vera e ragioniamo insieme: l’hai vista gravida, ma con un uomo accanto?» le domandò.

Monràh riflette per un attimo immergendosi nuovamente nei ricordi della visione e fece cenno di diniego con il capo.

«No, era sola, non c’era nessuno con lei, era terrorizzata, stava scappando in una specie di grotta, ma quando è…»

«Quando è?» l’incitò il compagno.

«Oh caro, non so come dirtelo! Nella visione stava per essere uccisa da qualcuno che non sono riuscita a vedere, sembrava che il suo corpo fosse stritolato da un’entità priva di forma ed era in un lago di sangue. Oh Dei amatissimi!»

Cominciò a piangere silenziosamente, il dolore era così lacerante che le sembrava che il cuore le si stesse frantumando in mille pezzi. Era il grido soffocato d’una donna che prima di essere la Somma Maga rimaneva una madre ed in quel momento avvertì tutta la fragilità della sua condizione, realizzando che fino a quel momento la sua elevata posizione spirituale l’aveva in realtà schermata dal dolore riservato ai comuni mortali.

Conosceva la morte e non la temeva, ma non era preparata a perdere l’oggetto terreno più importante della sua vita.

Aveva concepito Mahina in tardissima età grazie all’aiuto della Dea e della magia, nessuna donna della sua età vi era mai riuscita prima. Nella sua giovinezza si era concentrata unicamente sul raggiungimento della perfezione spirituale per poter accedere all’Oltre, ma raggiunto l’obiettivo e diventata Somma di tutti i Bianchi aveva cominciato a desiderare un figlio. Aveva lottato duramente contro il parere contrario del comune pensiero, ma Amiroth l’aveva sostenuta ed incoraggiata ed il suo sogno era stato coronato dal successo.

Ed ora? Eccola lì, spaventata come una bambina e fragile come un qualsiasi altro essere umano. Sapeva che si stava giudicando troppo severamente e che fino al momento della morte anche se era l’Oltre il suo destino, avrebbe potuto cadere vedendo sfumare le sue aspirazioni; era accaduto a molti prima di lei.

Non si era mai sentita così insicura, prima di quel giorno almeno.

Amiroth da parte sua era rimasto altrettanto scosso non avendo avuto un percorso spirituale molto distante da quello della compagna. Provava lo stesso intenso dolore, ma riusciva nonostante tutto a mantenere un atteggiamento equilibrato.

“Nulla è certo fino a quando non si manifesta il disegno completo” si disse per darsi coraggio.

«Calmati ora, pensiamo con ponderazione al da farsi. Sai perfettamente che qualsiasi visione è solo un possibile percorso in cui si dispiega il destino. Una possibilità non è una certezza. Quindi tranquillizzati e cerchiamo di ragionare insieme.»

Si abbracciarono ed in quella stretta che raddoppiava la loro forza, trovarono entrambi un po’ di conforto.

«L’hai vista gravida e non hai visto nessun uomo con lei» affermò Amiroth staccandosi da lei «ma un uomo ci deve essere per forza quindi, dobbiamo scoprire di chi si tratta e…» Si fermò un istante colto da un’intuizione improvvisa «Saros! Lo frequentava spesso ultimamente, che sia lui il padre? Non mi sembrava particolarmente coinvolta, ma non sono stato molto attento alla questione.»

Quella possibilità ebbe il potere di rinfrancare Monràh donandole una possibile soluzione rispetto alla disfatta senza appello che la sua mente stava contemplando.

«Era qui un attimo fa, l’ho visto che parlava con Rechel, chiamiamolo!»

La chiamata dei Sommi innervosì Saros che in quel momento stava recitando la sua parte in un’accesa conversazione con alcuni Iniziati.

“Che abbiano saputo qualcosa?” si chiese, ma non ebbe il tempo di soffermarsi ulteriormente sui suoi timori perché Rechel lo trascinò al cospetto dei Sommi.

Li trovarono seduti nel divano della stanza in un’apparente calma tradita tuttavia, dagli occhi arrossati di Monràh.

Saros sentì accrescere il proprio potere di fronte alle condizioni di fragilità emotiva che la Somma Maga dei Bianchi non riusciva a nascondere e che la rendevano umana come qualsiasi altro individuo.

“Bene, anche gli Dei possono cadere dal loro piedistallo ed essere sconfitti!” rifletté.

«Ditemi!» affermò invece con costernazione. «Qualsiasi cosa io possa fare per voi sono al vostro servizio!»

«Saros» esordì Amiroth «non devi prenderla come una faccenda personale ma voglio arrivare subito al dunque perché non abbiamo tempo da perdere. Ultimamente tu e Mahina vi siete frequentati spesso…»

«Sì Sommo!» rispose avvertendo un improvviso senso d’insicurezza, ma reagendo con prontezza. «Ho intenzioni serie con vostra figlia anche se tra noi non c’è stato ancora niente di concreto, solo una bella amicizia. Sono innamorato di lei e pensavo di dichiararmi molto presto. Penso che possiate comprendere quanto sia preoccupato per lei, voglio esservi utile e se avete informazioni da darmi ve ne sarei veramente riconoscente.»

Monràh studiava il ragazzo con attenzione e non le fu difficile avvertire una nota stonata in quelle parole, ma lo lasciò continuare per comprenderlo con più chiarezza.

«Siediti.» lo invitò Amiroth con un cenno della mano. «Era-vamo consapevoli della simpatia nata fra di voi, ma quello che devo chiederti è piuttosto personale e potrà disturbarti. Sono tuttavia costretto a porti questa domanda per quanto mi rammarichi: hai avuto rapporti intimi con lei?»

Saros si era calmato, sostenuto da una forza che non pensava di possedere.

«Capisco la vostra inquietudine e non mi sento per nulla offeso, al vostro posto avrei pensato anch’io a questa eventualità. La mia riposta però è no… non l’ho mai toccata, ho sempre rispettato il suo stato d’aspirante Iniziata e non abbiamo mai violato le regole del Tempio! Non avrei mai potuto compiere un tale sacrilegio né lo avrebbe fatto vostra figlia. Ritengo lo sappiate con certezza anche voi.» affermò accoratamente.

Sentendo nominare la figlia, Monràh cominciò ad avere dei dubbi riguardo alle proprie sensazioni: poteva sbagliarsi, in quel momento era in uno stato emotivo che non permetteva una visione distaccata degli eventi ed era vero, Mahina non avrebbe mai violato quella regola.

Saros continuò rinfrancato dalla propria audacia.

«Perché mi state facendo questa domanda? Cosa ha scritto Mahina in quella lettera?»

Monràh e Amiroth si lanciarono un’occhiata di traverso e decisero di metterlo al corrente dei particolari.

«Mahina non dice molto.» cominciò Monràh.

Si alzò dal divano e prese la lettera dal cassetto della scrivania. Gliela porse allungando il braccio e mantenendo intatta l’attenzione percettiva su di lui.

Saros l’accolse fra le mani e dopo averla aperta iniziò a leggere la grafia morbida e regolare di Mahina.

“Cari mamma e papà, sono consapevole di darvi un grande dolore. Non posso spiegarvi nel dettaglio quello che mi è accaduto, ma ho preso una decisione importante che vi arrecherà un grande dolore. Ho conosciuto un uomo, non è un Bianco, non è un Nero. È un Barbaro, uno schiavo. Mi sono innamorata di lui come non avrei mai pensato potesse accadere. So che nessuno di voi potrà comprendere la mia scelta, ma ho deciso di rinunciare a diventare un’Iniziata e di andare via con lui. Ci sto meditando da tempo, voi non lo conoscete, ho sempre tenuto nascosto ciò che provavo, sapevo che non mi avreste capita. Mi sento prigioniera di una realtà che non ho potuto scegliere vivendo al Tempio. Mamma, so che capirai meglio di papà le mie parole. Non venitemi a cercare, quando leggerete le mie parole sarò già fuori da Atlantide. Non vi dimenticherò mai, sarete sempre nel mio cuore. Vi amo immensamente e spero riuscirete a perdonarmi per il grande dolore che vi sto arrecando. Salutatemi i Dodici. Anche a loro mando la mia benedizione per un meraviglioso viaggio nell’Oltre. In quel luogo, in un altro tempo quando anch’io sarò pronta, ci ricongiungeremo.

Mahina “.

Il contenuto della lettera sollevò ulteriormente l’umore di Saros, non aveva minimamente accennato a quello che era accaduto fra loro, poteva continuare a mentire ed a fingersi amico della causa.

Monràh, osservando il ragazzo intento a leggere le parole di Mahina, non scorse alcuna emozione. Fu questo particolare a destarle molti sospetti ed a convincerla che stava mentendo: affermava d’amare la figlia, ma leggeva senza battere ciglio la dichiarazione d’amore verso un altro uomo.

Non disse nulla, ma il suo sguardo incrociò quello del compagno parlando con il linguaggio senza parole che usavano spesso per comunicare fra loro.

«Ha rinunciato all’iniziazione a causa d’un uomo, uno schiavo per di più! Capisco come vi dobbiate sentire, deve essere terribile. Non ero sicuro dei suoi sentimenti per me, credo che dovrò farmene una ragione.» Assunse un’espressione affranta a coronare le proprie parole.

«Penso che anche per te sia una notizia difficile da digerire e spero che vorrai comunque darci il tuo aiuto. Mahina deve tornare al Tempio!» esclamò Amiroth. «Sono d’accordo con voi Sommi, sono pronto a darvi tutta la collaborazione possibile.»

«Bene» intervenne Monràh «se tu non hai mai avuto rapporti con lei, magari l’avrai vista qualche volta vicina ad uno schiavo, come afferma nella lettera.»

Saros rifletté fra sé per mimare un’analisi attenta della propria memoria.

«No, non l’ho mai vista vicina a nessuno schiavo in particolare, lei parla con tutti, voi lo sapete bene, persino con gli Intoccabili.»

«Sì!» si costrinse a riconoscere Monràh. «Quindi potrebbe essere ovunque, non sappiamo chi sia questo ragazzo e cosa vogliano fare fuori da Atlantide. Non abbiamo un punto di partenza.»

«Se la loro idea è quella di lasciare Atlantide dovranno passare per forza per la frontiera dei Neri, non credo sia così facile per una come lei non essere notata. Dovranno utilizzare un’imbarcazione per raggiungere la Terra dei Barbari quindi avranno bisogno di una nave, il che rende ancora più difficile la loro impresa!» affermò accompagnando le parole con gesti plateali delle mani. «Tutte le navi devono passare per lo Stretto di Eschis e non credo sia così semplice non essere visti soprattutto ora che siamo allertati!»

«Sì, è praticamente impossibile.» concordò Amiroth.

«Perché non chiedete l’aiuto dei Neri? Credo che potrebbero essere preziosi in questo caso. Mahina è amata da tutti, anche nel loro territorio si parla di lei.»

«Certo, è quello che sicuramente faremo anche perché non penso che la notizia sia rimasta confinata a Keor. Avremo bisogno di tutte le forze disponibili, mia figlia non conosce praticamente nulla della Terra dei Barbari, è vissuta qui al Tempio per tutta la vita, in un ambente protetto. Non potrebbe sopravvivere in una terra dove l’unica energia conosciuta è il fuoco, dove non ci sono le comodità e gli agi a cui è abituata: lì la vita è soprattutto sopravvivenza. Questo lo riesci a comprendere Saros?» gli chiese con intensità.

«Certo e farò di tutto per aiutarvi a riportarla a casa, ve lo prometto. Vado a cercarla insieme agli altri, so che si è attivata una squadra di giovani e voglio andare con loro.»

«Bene, contiamo su di te ragazzo!» lo congedò Amiroth.

«Che ne pensi Monràh?» chiese alla compagna non appena il giovane si richiuse la porta alle spalle.

Rechel che fino a quel momento era stata silenziosa in disparte, intervenne.

«Sta mentendo! Sa qualcosa di sicuro! L’ho osservato intensamente ed ho percepito perfettamente una nota stonata. Non l’avevo mai guardato bene prima d’oggi, dico la verità, non mi è mai parsa una persona interessante.»

«Rechel» l’interruppe Monrah «c’è una cosa che devi sapere.» si fermò un istante per essere certa di avere la sua attenzione. «Ho avuto una visione, una di quelle pure della Dea ed è stata la causa del mio sconvolgimento.»

«Dimmi cara sorella.» l’incoraggiò con dolcezza.

«Mahina era incinta, quasi al termine della gravidanza e stava scappando da qualcuno o da qualcosa che non sono riuscita ad identificare. Poi l’ho vista in una grotta…» Le mancarono le parole mentre ripeteva all’amica il finale della visione.

Rechel si ammutolì di fronte alla gravità di quello scenario, ripensò al segno della rosa, al corvo ed alla visione: stava accadendo qualcosa di più importante di quanto loro riuscissero a comprendere.

«Dobbiamo riunire i Dodici e comunicare i nuovi fatti a tutti. Insieme possiamo riflettere con più ponderatezza, voi due siete troppo coinvolti e potreste commettere errori.» sentenziò.

«Sì!» assentì Amiroth con modestia. «In questo caso non sento di riuscire ad essere obiettivo, ho bisogno di voi, della vostra forza e del vostro aiuto.» la voce gli morì in gola e gli occhi gli si inumidirono raccogliendosi in un’unica lacrima che si rifiutava di scendere.

Rechel non aveva mai visto il Sommo piangere. Assistere alle lacrime d’un uomo era difficile per qualsiasi donna ma vederle proprio in lui, la roccia di Atlantide, la colonna portante del Tempio, risultava ancora più insopportabile.

Lo abbracciò traendo a sè contemporaneamente anche Monràh.

«Ce la faremo, vedrete, risolveremo tutti insieme questa faccenda e riporteremo a casa la nostra piccola Mahina. Non si è fidata di noi e questo dovremo ricordarlo quando tutto sarà finito. Se se ne è andata significa che abbiamo sbagliato in qualcosa e dovremo correggerci.»

Monràh piangeva silenziosamente confortata dalle parole e dalla saggezza dell’amica.

«Andiamo, sentiamo il parere dei Dodici e cerchiamo di capire il ruolo di Saros in tutta questa faccenda.» decise Amiroth.

Prima d’uscire si ricomposero rinfrescandosi il viso e quindi si avviarono insieme verso la Sala del Consiglio.

«Dadalo!» Amiroth lo chiamò vedendolo comparire in un lampo alle sue spalle. «Per favore convoca i Dodici per una riunione d’emergenza!»

«Devo dirti una cosa prima, anche se non so se sia davvero importante!»

«Dimmi, non temere ragazzo… importante o meno sarò io a giudicare!»

«Oggi sono andato ad un porticciolo del Terzo Distretto perché sapevo che un peschereccio aveva appena attraccato con un carico di alghe fresche. So che ti piacciono tanto e volevo fare qualcosa che potesse alleviare almeno un pò la tua pena. Non è un posto rinomato, ma lì conosco un pescatore che mi ha sempre trattato molto bene. È allora che l’ho visto e la cosa mi ha molto stupito.»

«Parla!» l’incitò Amiroth incuriosito.

«Ho visto Saros che scendeva da una lancia da trasporto dei Neri. Mi sono incuriosito perché non ha attraccato alla banchina che era peraltro completamente libera a parte il peschereccio su cui io stavo scegliendo le alghe. Sono rimasto nascosto, non so nemmeno io il motivo… è spuntato da sottocoperta, si è guardato intorno con circospezione ed è salito nel peschereccio dove anch’io mi trovavo. È sbarcato di soppiatto e poi si è avviato con tranquillità verso Keor. L’ho seguito fino a qui. Poi ho visto che l’avete chiamato voi. Non so se questa notizia ti potrà essere utile, ma pensavo fosse importante comunicartela subito.» terminò tutto d’un fiato.

«Hai fatto benissimo Dadalo. Mi hai dato una notizia di vitale importanza ragazzo! Te ne sarò grato per sempre.»

Il viso di Dadalo s’illuminò di piacere mentre Amiroth si sentì tremare di fronte alla conferma di un possibile coinvolgimento dei Neri nella scomparsa della figlia.