23) La comunità di centauri

Lago dei centauri ESCAPE='HTML'

Phale rimase senza fiato di fronte allo spettacolo della natura che aveva di fronte: quattro gorgoglianti cascate si gettavano a strapiombo in un lago non eccessivamente grande; lo specchio d’acqua era abbracciato per tutto il perimetro da una vegetazione rigogliosa e multicolore.

Si trattava di uno dei luoghi più incantevoli che avesse mai visto.

Fu la vista dell’acqua tuttavia che la sollevò tanto da indurla a piangere di commozione.

«Mio Dio Gelky! Guarda che posto…»

«Non ho parole, giuro!»

Il centauro sorrise di fronte al loro stupore e con un cenno della testa le invitò a seguirlo lungo un piccolo sentiero che accostava il lago. Le condusse ai piedi di una delle cascate e quando non si fermò, entrando dentro al getto d’acqua e svanendo dalla loro vista, rimasero sbigottite.

Phale si fece coraggio e lo seguì: grande fu lo stupore quando comprese che si trattava d’un antro celato alla vista.

Gli schizzi d’acqua tiepida che l’investirono le fecero capire che si trattava d’acqua termale.

“Bene, per Trascus significherà un maggior beneficio terapeutico.” pensò con pragmatismo.

«Dai Gelky, vieni!» urlò per sovrastare il rumore della cascata che in quel punto era assordante. «Non avere paura, si tratta di un passaggio.»

Rincuorata da quelle parole anche Gelkares s’immerse nell’entrata acquosa. Rimase a contemplare per qualche secondo l’ambiente umido e caldo e le costanti zaffate di vapore che salivano dal pavimento in pietra.

Il centauro attirò la loro attenzione per invitarle a proseguire; attraversarono la caverna che si restringeva in uno stretto corridoio e s’immetteva in una seconda cavità circolare, di dimensioni più ridotte della precedente. A metà della parete rocciosa s’apriva un varco luminoso e quando l’oltrepassarono si trovarono all’aperto, dinnanzi ad un immenso giardino colmo di piante, di alberi da frutto e fiori; era evidente la mano umana in quella cura meticolosa.

Continuarono a seguire la loro guida lungo un sentiero ciottolato e giunsero ad un villaggio formato da una decina di capanne dal tetto di paglia e fango, disposte in circolo.

Piccoli centauri giocavano allegramente fra loro mentre le madri li sorvegliavano e si affaccendavano in svariati lavori: c’era chi cucinava, chi impagliava ceste, chi lucidava degli affilatissimi coltelli.

Il silenzio piombò totale sulla comunità alla vista dei nuovi arrivati ed i cuccioli corsero a nascondersi dietro alle madri.

Una centaura di media età si staccò dal gruppo e col volto contratto dalla collera fulminò con gli occhi i nuovi venuti.

«Ma sei impazzito?»

Incredibilmente parlava perfettamente la lingua atlantidea.

«Hai portato qui degli umani? Ma cosa ti salta in mente, ci vuoi fare ammazzare tutti?»

«Stai calma Greth, non sono pericolosi e non potevo non farlo. Lui...» indicò con un cenno della testa l’uomo svenuto che aveva sul dorso «...è l’uomo di cui ti ho parlato, quello che ha salvato Pil.»

La centaura si calmò di fronte alla spiegazione, si avvicinò a Trascus per verificarne lo stato di salute e getto un’occhiata sprezzante a Gelkares e Phale.

«Sembra ferito gravemente!» diagnosticò chiamando in aiuto un centauro per depositare il corpo a terra.

Phale intervenne accostandosi a Trascus e la centaura s’infastidì visibilmente.

«Sono onorata che ci abbiate accordato la vostra fiducia signora» azzardò timidamente «il mio amico è molto grave, ha una ferita purulenta e la febbre veramente alta, ha bisogno di cure immediate, di acqua pulita e dei medicamenti specifici che ho con me.»

La centaura la guardò freddamente, con un moto di disgusto dipinto nel bellissimo volto dall’incarnato perfetto.

«Gli umani sanno solo distruggere, proprio voi che cercate di sterminarci ad ogni occasione chiedete il nostro aiuto?»

Phale si vergognò per l’accusa pur sapendo di non essere direttamente responsabile del destino di quelle creature.

«Ha ragione signora, le atrocità che sono state inflitte alla vostra razza sono imperdonabili. Non sono opera del mio popolo, ma di coloro che anche noi combattiamo come possiamo. Io sono una Bianca, non so se sapete qualcosa di noi.»

Al sentire nominare i Bianchi la centaura si addolcì e proseguì con più cautela.

«Certo, so chi sono i Bianchi, ci proteggono come possono dalla caccia spietata che i Neri hanno indotto verso di noi. Parliamo la vostra lingua perché siamo nati ad Atlantide e cresciuti in quella terra per diverso tempo.»

Sentire quelle parole sollevò non poco le due giovani e la centaura ordinò di portare Trascus dentro una delle capanne.

«Curerò il vostro amico, se siete davvero chi dite siete i benvenuti. E tu» disse rivolgendosi al centauro che aveva trasportato Trascus «per una volta hai fatto una cosa giusta! Va da Pil che è da stamattina che chiede di te!»

Il centauro eseguì senza fiatare e Phale comprese che Greth era la femmina dominante del piccolo villaggio.

La seguì dentro alla capanna.

«Posso aiutarla signora?»

Un sorriso le illuminò per la prima volta il volto mentre rispondeva.

«So che i Bianchi sono abili guaritori e sarei onorata se potessi insegnarmi qualcosa.»

«Tutto quello che potrò, è già tantissimo che ci ospitiate in questo posto che è…» s’interruppe cercando le parole «…non so nemmeno come definirlo… è un paradiso!»

«È un posto che per ora ci ha permesso di sopravvivere alla caccia delle tribù! Penso tu sia a conoscenza che ci usano come trofei per le loro battute sportive.»

«Lo so, ho visto.» il volto contratto in una smorfia di dispiacere fu più eloquente di ogni parola.

Si accostarono entrambe a Trascus che ancora febbricitante, giaceva privo di sensi in un giaciglio di paglia pulita e profumata. Sfasciarono la ferita ed una zaffata d’odore nauseabondo si diffuse nell’ambiente: la lesione era infiammata e di colore verdastro.

«Bisogna pulirla bene, come ti chiami?» domandò Greth.

«Phale signora!»

«Chiamami pure Greth e passami quella cesta appesa alla parete… sì quella.» l'invitò indicandogliela.

Phale gliela porse e quando Greth l’apri scoprì che si trattava d’un contenitore di materiale da medicazione di vario genere: mescolate disordinatamente c’erano fasce, boccette di disinfettanti di vari colori, stecche per fratture.

Greth estrasse un involucro cilindrico di panno che rivelò, quando lo srotolò, una fila di bisturi di rame piccoli ed affilati.

«Bisogna disinfettare gli strumenti prima d’incidere, fuori ci dovrebbe essere Rotha che si occupa del braciere: dille d’immergerli in acqua e di farli bollire.»

«Certo! Se lo desideri ho con me delle erbe medicinali che ho raccolto lungo il cammino, ce ne sono diverse che potrebbero esserci molto utili.»

«Quando avrai voglia e ti sarai riposata mi farebbe piacere conoscere la tua storia. È raro vedere un Bianco in questi posti. Prendi le erbe se pensi possano essere d’aiuto per il tuo amico.» la guardò negli occhi con una tale intensità che era certa le avesse letto tutti i segreti dell’anima.

«Mi farebbe piacere.» rispose sentendosi stringere lo stomaco in un nodo.

Uscì dalla capanna ed individuò all’istante Rotha essendo davanti al braciere posto quasi al centro del villaggio: dedusse che i pasti in quella comunità fossero collettivi.

Rotha era una centaura di mezza età con i capelli grigi raccolti in un’elaborata treccia ed il volto sciupato da una ragnatela di rughe che tradivano una vita di sofferenze. Il manto tuttavia, ingentiliva il suo aspetto grazie ad una calda tonalità ramata.

Phale le si avvicinò con cautela ma percepì un’ondata di diffidenza estrema mentre le comunicava le indicazioni di Greth. Senza profferire parola la centaura eseguì l’ordine dandole le spalle.

Quando Phale riportò gli strumenti chirurgici nella capanna, il corpo nudo di Trascus era in bella vista mentre Greth lo lavava dalla testa ai piedi. Le si accostò per aiutarla e dopo averlo pulito si dedicarono alla ferita: sciacquarono le escrezioni purulente mettendo in luce una lacerazione ampia, gonfia ed infiammata.

Phale estrasse dal proprio zaino l’involucro di piante medicinali e scelse fra tutte quella che le interessava.

«Che pianta è?» le domandò incuriosita Greth mentre la riduceva in polvere.

«Si chiama borsacchina, è un’erba che trovi un po’ ovunque nei luoghi incolti, ma ha proprietà miracolose in questi casi.»

Le mostrò una foglia ancora intera anche se ormai secca.

«Le abbiamo anche qui.»

«Sì è un ottimo disinfettante e si può unire all’acqua per lavare ogni genera di ferita, oppure come farò ora, possiamo mettere la polvere delle foglie triturate, direttamente a contatto con la lesione. Va ripetuto due volte al giorno.»

«Dobbiamo abbassargli la temperatura corporea, ma deve essere cosciente per bere la mia tisana. Ho io l’erba adatta!» mostrò con orgoglio a Phale la genziana chiusa ermeticamente in un contenitore.

«Perfetta! Sei già esperta in erbe medicinali a quanto pare!» l’elogiò in risposta.

«Dobbiamo sopravvivere qui e un po’ alla volta ho imparato a riconoscere le piante che potevano esserci utili… non senza molti errori. Mi sarebbero davvero di grande aiuto le tue conoscenze.»

Phale si commosse, era lieta d’avere l’opportunità di ricambiare la sua gentilezza.

Lasciarono che Trascus si riposasse sul pagliericcio ed uscirono per raggiungere il resto del gruppo.

«Che ne dite ragazze di un bagno nel lago? L’acqua è sempre calda e mi sembra ne abbiate un gran bisogno entrambe.» propose Greth rivolgendosi anche a Gelkares che si era seduta in disparte a sonnecchiare.

Udendo la parola bagno si svegliò all’istante e si alzò rivelando una forza inaspettata.

«Sarebbe fantastico!»

«Pil!» Greth chiamò il cucciolo di centauro che avevano salvato e che in quel momento stava giocando col padre. «Accompagna le ragazze al lago per un bagno. Quando torneranno mangeremo tutti insieme, è ormai sera.»

Il padre di Pil si accodò al gruppetto, ma un cenno della mano di Greth lo bloccò.

«Sono a posto, ora l’ho visto. Lascia che si facciano il bagno come meglio credono!»

Pil correva come una scheggia e le due ragazze faticavano a tenere il passo.

«Pil ti prego, rallenta! Siamo stanchissime e tu sei troppo veloce hai due gambe in più di noi!»scherzò Phale provocando la risata argentina del cucciolo.

Rallentò con magnanimità e le condusse al lago dopo aver attraversato la grotta.

Le guidò ad una roccia molto levigata, ricoperta da soffice muschio che si rivelò essere una perfetta piattaforma per immergersi con facilità in acqua. Pil si tuffò per primo felice come ogni cucciolo di fronte al gioco dell’acqua.

Gelkares e Phale lo guardarono per un attimo e dopo essersi spogliate velocemente lo raggiunsero con altrettanta eccitazione.

L’acqua calda accolse Phale come il ventre d’una madre amorevole, si distanziò dagli altri per godersi quel momento di distensione che la ritemprava in profondità.

Fu un attimo ma avvertì un lievissimo sfarfallio al ventre.

“È il bambino che si sta muovendo?” si chiese. “Ma no, saranno i morsi della fame.” concluse dubbiosa.

Per la prima volta dall’inizio della gravidanza era concretamente consapevole della vita che portava in grembo.

Rimase a galleggiare a filo d’acqua, guardando il sole che ormai stava tramontando e le poche nuvole che navigavano in un cielo ormai violaceo.

Avrebbe voluto rimanere lì per sempre, ma la voce di Gelkares che la chiamava dal bordo del lago, la riportò alla realtà.

L’amica si stava sgocciolando i capelli, ormai ricresciuti fino alle spalle e fu colpita dalla trasformazione del suo aspetto dopo il bagno: era nuovamente la ragazza che aveva condiviso con lei la vita ad Atlantide. Il pensiero della sua terra la colmò di nostalgia ma si costrinse a nuotare verso di lei proprio mentre giungeva Greth con degli abiti puliti fra le mani.

Allungò verso di loro due tuniche di pelle ambrata e morbidissima.

«Non siamo sempre noi a morire!» spiegò con semplicità alludendo alla provenienza degli abiti. «Quando sono i cacciatori a soccombere in uno scontro, anche noi prendiamo ciò che ci potrebbe tornare utile.»

Phale sorrise e comprese il dolore profondo celato dietro alla leggerezza di quelle parole.

Accettò la tunica con piacere e l’indossò scoprendo che era di diverse taglie più grande, ma profumava di pulito e questo era più che sufficiente.

«Non so come ringraziarti per tutto quello che stai facendo per noi.»

«Se siamo ancora vivi lo dobbiamo a voi Bianchi, quando hanno compreso che non eravamo proprio delle macchine che potevano usare a loro piacimento, hanno cominciato a sterminarci. Ci avete liberati e condotti qui. Non è colpa vostra se veniamo considerati degli abomini contro natura. Effettivamente lo siamo se seguiamo la loro logica: è un’assurdità della natura un essere metà uomo e metà cavallo.»

«Posso dirti cara amica» rispose Phale guardandole gli occhi da cerbiatta «che c’è più umanità in ognuno di voi che in uno solo dei Neri. Non siete voi l’orrore, non lo siete proprio.»

Greth si commosse e ringraziò con un elegante sorriso.

«La cena è pronta ed immagino che siate affamate.» prese Pil per mano e si diresse al villaggio.

Gli abitanti della comunità stavano attendendo il loro ritorno riuniti attorno al braciere. Erano circa una ventina di centauri fra adulti e cuccioli.

«Come avrete compreso» con un cenno della mano di Greth le invitò a sedersi fra loro «io qui sono il capo. Cerco di mantenere in vita la nostra razza, ma siamo rimasti in pochissimi. La nostra salvezza è garantita da questo posto sconosciuto a tutti.»

I centauri avevano cominciato a cenare in silenzio mentre Greth parlava.

Il cibo era delizioso e Phale scoprì una bevanda che non aveva mai assaggiato.

Greth sorrise di fronte a quella curiosità.

«Si chiama vino, è un nettare che ricaviamo da un frutto a grappoli che abbiamo trovato qui e che abbiamo chiamato uva. Abbiamo inventato noi questa bevanda. Necessita d’un procedimento piuttosto complesso, ma se starete con noi fino all’autunno lo potrete vedere.»

«È delizioso, corposo…»

«Devi solo fare attenzione a non berne troppo: ha gli stessi effetti dell’idromele che viene prodotto ad Atlantide.»

Phale sorseggiò nuovamente il vino, annuendo alla spiegazione.

«Dicevo» continuò la centaura «che è di fondamentale importanza per la nostra sopravvivenza che nessuno venga mai a conoscenza dell’entrata al villaggio.»

«Non preoccuparti non potrei mai tradire tanta ospitalità! Mai!» l’assicurò Phale.

«Se volete ci farebbe piacere ascoltare la vostra storia.»

Phale assentì e dopo avere lanciato un’occhiata di traverso a Gelkares cominciò il racconto, avvolta dal silenzio rispettoso dei centauri.

«Vuoi dire che sei la figlia dei Sommi?» l’interruppe stupita Greth.

La rivelazione modificò all’istante l’atteggiamento d’ogni membro di quella incredibile comunità.

«Tu non sai cosa ha fatto per noi tuo padre! Lo veneriamo come un Dio, se non fosse per lui che ci ha portati via da quel luogo orribile, ora saremmo tutti morti. Io sono onorata di averti come mia ospite, non so davvero cosa dire…» terminò balbettando.

Phale ringraziò con modestia e continuò a raccontare a ruota, non omettendo nessun particolare: quel meraviglioso microcosmo popolato da esseri che venivano considerati uno sbaglio della natura, meritava completa sincerità.

Raccontò dell’intrigo perpetrato da Thotme e Mhanna ed il solo sentire pronunciare quei nomi provocò una reazione di disgusto in tutti i presenti. Narrò degli Intoccabili, della sua gravidanza, della fuga da Atlantide, dello stato di Trascus.

Omise tuttavia, le rivelazioni riguardanti l’importanza del suo bambino nel futuro della Terra: non sapeva come avrebbero potuto reagire.

«Quindi quell’orribile donna ti sta seguendo? Pensi che potrebbero esserci pericoli per noi?» le domandò Greth con preoccupazione.

«Sinceramente non credo, ma non lo escluderei del tutto. Non voglio rimanere qui per molto, non avere timore. Non vi metterò in pericolo, è sufficiente che Trascus si riprenda. Io sento quando una sonda astrale di magia nera si sta avvicinando. L’unico che potrebbe in qualche modo essere individuato da Mhanna è Trascus. Ma se non l’ha preso fino ad ora significa che non se lo ricorda bene e questo per il momento ci ha salvati.»

«Non può ricordarsi di nessuno di coloro che usa per i suoi esperimenti, quella donna non ha un cuore.» intervenne con disprezzo Glog.

«No, non ce l’ha.» assentì Phale abbassando lo sguardo.

Le stelle brillavano alte nel cielo e le Lune piene illuminavano il gruppo di esseri viventi radunati attorno al braciere; l’aria era fresca e sapeva di pulito.

Era da molto tempo che Phale non provava una così completa sensazione di benessere e si stiracchiò felice, scoprendo di avere le membra indolenzite dalla stanchezza.

«Immagino siate esausti, avete passato un’odissea terribile e lo ripeto, siamo onorati di potervi aiutare. Il bambino che porti in grembo ha bisogno d’una mamma riposata: vi ho fatto preparare due giacigli nella mia capanna. Preferisco che stanotte non dormiate in quella del vostro amico, lo veglierò io.»

«Grazie cara amica tu sei un angelo mandato dagli Dei.»

L’atmosfera era satura di commozione e Pil le condusse nella propria capanna, felice di avere due compagne per la notte. I pagliericci erano pronti, proprio come aveva anticipato Greth e sia Phale che Gelkares vi si adagiarono sfinite.

Pil sembrava non avere molta voglia di dormire.

«Mi raccontate una favola delle vostre? Mi piacciono tantissimo le favole!» si era sdraiato, raccolto sulle quattro zampe, con un’espressione di speranza dipinta sul volto e Phale comprese che era quello il modo in cui riposavano i centauri.

Anche se era distrutta si costrinse a raccontargli una delle fiabe che Monràh le narrava da bambina; sorrise a quel ricordo. Decise d’adeguare la fiaba al contesto in cui si trovavano.

«C’erano una volta tre piccoli fratelli centauri, ognuno di loro costruì una capanna per non essere preso dai cacciatori…»

Il cucciolo aveva gli occhioni neri spalancati ed attenti e Phale sorrise di fronte alla bellezza dell’innocenza.

“Mio figlio avrà lo stesso sguardo quando gli racconterò le fiabe?” si domandò.

Si ricordò degli insegnamenti ricevuti al Tempio: Monràh le diceva che un bambino esiste da subito, il suo corpo è un seme quando viene concepito ma la sua anima è già completa. La madre, si raccomandava, deve curarlo fin dal primo giorno del concepimento perché lui ascolta, impara, cresce anche in emotività, mentre è nel ventre.

Prendendo consapevolezza di quegli insegnamenti continuò a raccontare la storia rivolgendosi anche al figlio e quando il piccolo centauro senza alcun preavviso si addormentò, rimase ad osservarlo con un sorriso beato.

Gelkares era già fra le braccia di Morfeo e dopo pochi istanti lasciò che il sonno rapisse anche lei.