21) Rivelazione

Memoria cristallina ESCAPE='HTML'

Monràh tornò dal viaggio astrale accolta dal cerchio dei Dodici che l’avevano sorretta.

«Come sta la bambina?» chiese con preoccupazione Rechel.

«Sta bene ed anche Gelkares. È il suo amico che è messo molto male. Ho sentito il fetore energetico della ferita che ha sulla coscia: è in sepsi. Non hanno acqua, ma a quanto pare hanno qualche erba medicinale. Mahina…» s’interruppe sapendo l’importanza di dover pronunciare il nome spirituale della figlia «…Phale… è sempre stata brava nello studio dell’arte medica e sono certa farà un buon lavoro.»

«È il padre del bambino?» chiese Amiroth con curiosità.

«Sembra di no! Non mi ha voluto dire altro e non ho capito perché la questione la turbi così tanto.»

Monràh gli accarezzò la barba bianca in un gesto affettuoso; sapeva che anche lui si stava controllando per non lasciare libero accesso alle emozioni di dolore che provava.

Amiroth amava infinitamente Phale, era nata quando entrambi erano ormai vecchi per avere dei figli e l’arrivo di quel batuffolo biondo dai grandi occhi color del mare era stata una sorpresa ed una grazia.

Sapere che ora si trovava in una situazione in cui non avrebbe potuto aiutarla concretamente gli era insopportabile.

Lui e Monràh tuttavia, erano i Sommi, avevano precise responsabilità di fronte alla collettività e qualsiasi fosse il progetto degli Dei, dovevano accettarlo come una benedizione.

In generale entrambi sapevano abbandonarsi ai disegni superiori come un fiume che segue il suo letto docilmente e si adatta a quello che trova nel percorso. In quella situazione tuttavia, non era così semplice.

Nonostante la poderosa preparazione spirituale di entrambi, Phale rimaneva la loro bambina e non sarebbe stato semplice lasciare che se la cavasse da sola in un territorio tanto ostile.

Dovevano proteggerla dai Neri ed istruirla come avrebbero fatto se fosse stata al Tempio; ma in astrale sarebbe stato molto più difficile.

Non erano certi che Phale fosse all’altezza d’un compito tanto impegnativo, le loro indicazioni in astrale sarebbero state sempre povere ed incomplete ed avrebbe dovuto trovare molte risposte da sola.

Potevano conoscere i suoi bisogni e progressi solo se Phale li informava direttamente ma non avrebbero mai avuto il pieno controllo della situazione.

Amiroth comprese grazie alle proprie riflessioni, la lezione che gli Dei stavano impartendo ai Dodici: l’abbandono del controllo.

Essere i più potenti Bianchi di Atlantide li aveva resi certi d’ogni loro azione, avevano il dominio di tutte le situazioni ed il loro scudo era l’enorme conoscenza accumulata in moltissime esistenze e trasformata in pura coscienza cristallina.

Ora, proprio come quando erano agli inizi della loro formazione, la via non era così sicura, né tracciata.

Monràh si era raccolta nelle medesime riflessioni e lo sguardo che gli rivolse glielo confermò.

«Che ne dite se andiamo a discutere nella Sala del Consiglio? Abbiamo molto di cui parlare, ma è necessario farlo a porte sbarrate. È di vitale importanza per ora, mantenere il segreto delle informazioni che gli Dei ci hanno affidato.» propose ai Dodici.

Quando le porte furono serrate e fu chiuso l’accesso da un incantesimo congiunto di tutti i maghi, ognuno di quegli splendidi uomini e donne saturi di saggezza espresse il proprio pensiero attorno alla tavola rotonda.

Amiroth lasciò che gli amici allargassero con il proprio punto di vista, il suo.

Il più interessante fu quello di Paloth che riusciva sempre a distaccarsi dalle situazioni tanto da poterle osservare nella loro totalità.

«Mi sembra» iniziò socchiudendo gli occhi a mandorla e trasformandoli in una fessura impercettibile «che dobbiamo porci diverse domande per arrivare a sbrogliare il rotolo della matassa.» s’interruppe un istante per raccogliere le idee mentre gli amici lo ascoltavano con interesse. «Perché mai gli Dei non ci hanno svelato il nome del padre di questo bambino? Seconda domanda: è un bambino che trasformerà la razza di Atlantide che è composta da noi e dai Neri. Come può un bambino nato da un Bianco trasformare anche i Neri?»

«Le tue domande sono interessanti caro Paloth!» intervenne Amiroth che fino a quel momento non era stato in grado di approfondire la questione essendo troppo coinvolto emotivamente. «Se gli Dei ritengono che la nostra razza debba cambiare avranno i loro buoni motivi e non sta a noi giudicarli anche se fa molto male pensare che un giorno noi, per come siamo oggi, non esisteremo più.»

«Esisteremo sempre!» lo corresse dolcemente Monràh.

«La Profezia… abbiamo sempre saputo che il nostro mondo un giorno si sarebbe inabissato!» esordì Rechel cupamente.

«Non immaginavo però che quel momento fosse alle porte!» Manet, una maga dai capelli candidi come la neve, non riuscì a nascondere il velo di tristezza che provava.

«Stiamo calmi, quel momento, è ancora lontano. In questa esistenza siamo destinati all’Oltre a meno che non accada qualcosa che ci trattenga in questa dimensione.» l’incoraggiò con bonarietà Paloth.

«Il che non rende meno difficile accettare la Profezia. Il nostro bellissimo mondo…» continuò Manet stringendo le labbra in una morsa.

Prese a recitare ad alta voce le parole che tutti loro conoscevano a memoria:

 

“Le radici degli alberi verranno strappate dalla terra e le colombe ed i corvi saranno risucchiati da quel moto vorticoso.

Lacrime di sangue abbasseranno il soffio della vita ed ogni lume verrà oscurato dalla sua ombra.

Nel rombo sacro sprofondato nell’Abisso continuerà a mutare il seme degli Dei che indica la via, percorrendo avanti ed indietro le cinque strade indicate.

Pochi lo riconosceranno, pochissimi lo ameranno.

Il potere della spada vincerà quello dell’aratro ed i nuovi Dei conosceranno la gloria del loro impero incidendolo in un simbolo fallace.

Il tempo sarà un fantasma evanescente.

La vita e la morte si cambieranno di posto e nessuno si accorgerà della novità perché il serpente biforcuto nasconderà l’evento, inabissandolo fra le sue spire.

Alcune fra le Stelle più brillanti della volta celeste

riconoscendo il seme degli Dei

permetteranno agli Antenati di risorgere dalle loro bare di cristallo.

E la morte le guarderà negli occhi.”

 

Attorno al tavolo calò un silenzio tombale: tutti stavano riflettendo, come era accaduto moltissime volte nel corso dei loro studi, sul simbolismo celato dietro le parole della più antica Profezia lasciata in eredità dai Lemuriani.

«Sta finendo l’età dell’oro ed inizierà un’età di piombo.» sentenziò Monràh. «La vita è un continuo ascendere e discendere ed è grazie a questo movimento che l’Universo evolve. Credo d’iniziare a comprendere alcune parole prima oscure, voi?»

«Il seme che indica la via probabilmente è il bambino che porta in grembo nostra figlia!» Amiroth fu colto da un lampo di comprensione. «Gli Dei ci hanno detto che gli eventi sono apocalittici e che nostro nipote è benedetto.»

«Sarà la causa prima che produrrà gli effetti a catena che seguiranno.» Monràh cadde in uno stato di semi-trance mentre parlava. «Il mondo perderà tutte le nostre conoscenze magiche, saranno sepolte nelle bare di cristallo. Sappiamo che cambierà ogni cosa, che la coscienza dei Bianchi s’inabisserà poco a poco fino ad essere oscurata del tutto.»

I Dodici le stavano prestando la massima attenzione.

«Non riesco ancora a capire del tutto» intervenne Rechel «ma forse è presuntuoso pretendere tanto.»

«Ritengo che le nostre osservazioni siano veritiere anche se incomplete. Dovremo capire come preparare il nostro mondo a quello che verrà in modo da salvaguardare la nostra conoscenza. Il pianeta entrerà in uno spazio dimensionale inferiore e dovremo sigillare i luoghi in cui depositeremo la nostra sapienza. Abbiamo tempo per prepararci a questo e dovremo studiare un progetto adeguato.» propose Amiroth.

«È vero, se gli Dei ci hanno dato queste informazioni con così largo anticipo è proprio per questo motivo.» Palot s’accarezzò il mento in segno di riflessione.

«La Profezia parla anche di alcune stelle particolarmente brillanti che riconosceranno il seme. Dovremo quindi occuparci di questi uomini in modo che possano accedere alla nostra conoscenza al giungere del loro tempo.»

Tutti tacquero nuovamente, i disegni divini erano di così ampia portata da togliere il respiro e sapere che sarebbero stati proprio loro a dover preparare il terreno per l’apocalisse, rappresentava un impegno così gravoso da serrare in una morsa soffocante il petto d’ognuno.

Ad Atlantide c’erano già stati due eventi catastrofici, ma si parlava di centinaia di migliaia d’anni prima ed avevano causato in modo progressivo la netta divisione fra Neri e Bianchi che all’epoca di Lemuria costituivano invece, un’unica razza che camminava con gli Dei.

La coscienza dell’Uno si era spezzata in due parti che avevano iniziato a viaggiare in due direzioni opposte ed inconciliabili: tanto ascendevano i Bianchi, tanto discendevano i Neri.

«Cosa pensate accadrà con questa nuova mutazione della razza? Cosa hanno in serbo gli Dei per noi?» domandò Rechel ai Sommi.

«Ho riflettuto tanto sulle parole di questa profezia» Amiroth provò a risponderle «e sono giunto alla conclusione che saranno i Neri ad avere il dominio dell’umanità ma probabilmente lo faranno senza che l’uomo lo comprenda. Credo che la nostra stirpe sarà costretta a vivere sotto la superficie della coscienza. “L’ombra oscurerà i lumi”…» recitò. «Non c’è modo d’interpretare diversamente queste parole.»

«A quanto pare cadremo in un sonno lungo migliaia d’anni.» mormorò Paloth.

«Cerchiamo d’uscire da questo disegno apocalittico!» Amiroth tentò d’incoraggiare gli amici. «Per quanto la cosa in questo momento ci appaia terribile noi sappiamo bene che si tratta d’un gioco, che nulla è come sembra, nemmeno ciò che oggi stiamo vivendo come Bianchi.»

I Dodici annuirono all’unisono consapevoli della verità di quelle parole e si permisero di sorridere perché per un istante erano piombati nel futuro, come se fosse stata la realtà di quel momento.

«Ci penseremo in seguito, abbiamo i tunnel interdimensionali che potranno essere un buon punto di partenza per preparare tutto ciò che lasceremo ai nostri discendenti. Anche se verranno chiamati con un nome diverso dal nostro, saranno i nostri consanguinei.»

«Esatto amore mio! E probabilmente sceglieremo anche noi di visitare il pianeta nella dimensione di bassa coscienza in cui verrà calato. Chi lo sa!»

Tutti risero divertiti dalla prospettiva e la Somma fu lieta d’aver contribuito a sdrammatizzare l’atmosfera.

«Direi di concentrarci su nostra figlia ora, se quel bambino è ciò che pensiamo dobbiamo darle tutto il supporto possibile.»

«Mia cara»l’interruppe Amiroth «credo d’avere avuto un’idea fantastica. Il problema è la sua mancanza di difesa dai Neri e non possiamo fisicamente raggiungerla in quel territorio per istruirla in modo adeguato.» si accarezzò la barba nel gesto consueto che Monràh amava tanto. «Lei ed anche il bambino quando nascerà.»

«Mi hai incuriosita, che cosa hai in mente vecchio volpone?»la domanda della Somma era intrisa d’allegria.

«Possiamo istruirla solo in astrale, ma sappiamo tutti che è un’impresa destinata quasi certamente al fallimento. Conosco una persona però, che potrà farlo al posto nostro.»

«E chi sarebbe? Nel territorio dei Barbari non ci sono certamente maghi al livello della nostra sapienza.» Palot era incuriosito.

«Ne sei certo?»

In quel momento Monràh comprese la persona a cui si riferiva il compagno.

«Ma certo! Sei un genio, come ho fatto a non pensarci io?»

Anche Rechel aveva capito a chi si stava alludendo ma Amiroth diede forma concreta all’idea, esplicitandone il nome.

«Ingherin!»

Gli occhi di tutti i presenti s’illuminarono di piacere.

«Sei un genio!» Palot guardò con ammirazione il Sommo.

«Ingherin è la persona perfetta a cui possiamo affidare la formazione di nostra figlia in quel territorio. Sa tutto, è nata e cresciuta al Tempio, è diventata una fra le più brave Iniziate e sicuramente sarebbe stata fra noi oggi se non fosse avvenuto quell’incidente!»

Al ricordo dell’amica Monràh si rattristò. Gli eventi in quell’occasione erano stati superiori alle sue forze e la situazione era precipitata lasciandole l’amaro in bocca.

«Pensate che sarà disposta a perdonarci e ad assumere il ruolo che le affideremo? Non ne sono tanto certa! Quella situazione è rimasta senza un confronto chiarificatore e credo che non abbia mai capito come si siano svolti realmente i fatti o perlomeno quello che io provavo realmente per lei.» la gola le si serrò in un nodo di rammarico.

«Penso mia cara che non sia casuale tutto quello che sta accadendo e che non ci possano essere punti oscuri per chi come te è destinato all’Oltre.»

«Lo so, ma come possiamo fare? Cosa posso fare? Non credo vorrà parlarmi: tutte le volte che ci ho provato ho trovato la porta astrale serrata.»

«L’accesso in astrale è chiuso, ma quello terreno non lo è. Che ne dici se io e te ci prepariamo per una capatina nella Terra dei Barbari?»

Sapere che Amiroth era intenzionato ad accompagnarla in quel viaggio chiarificatore era un grosso sollievo per Monràh.

Provava ancora vergogna per come aveva trattato una delle persone che aveva amato di più al mondo, ma quello che la tormentava maggiormente era sapere che Ingherin non aveva mai voluto ascoltare la sua verità: la ferita che le aveva inflitto era così profonda da farla fuggire nel mondo dei Barbari pur essendo un’Iniziata del Tempio.

Riandò con i ricordi a quel tempo: era stata sua istitutrice per quasi tutta l’iniziazione: fra loro vi era un’affinità elettiva saldata dalla medesima passione per la conoscenza.

Anche se non avrebbe voluto, non era mai riuscita a celare i propri sentimenti per quell’allieva tanto capace e ben presto il veleno della gelosia penetrò fra le novizie.

L’arrivo d’una nuova giovane Iniziata al Tempio fu la causa che s’insinuò come un serpente nella crepa del suo errore.

Altea era una bellissima ragazza che conquistò tutti con l’esuberante simpatia e nessuno dei Dodici ne riconobbe subito la vera natura: fu molto abile a recitare la propria parte.

Ingherin che possedeva un cuore puro non s’accorse della tela con cui Altea la stava avviluppando: ogni volta che ne aveva l’occasione, insinuava il dubbio sulle capacità dell’allieva prediletta da Monràh, qualsiasi evento spiacevole che accadeva al Tempio lo riconduceva abilmente a lei ma senza esporsi mai direttamente.

Altea si dimostrava davanti a tutti la migliore amica di Ingherin e nessuno sospettava che potesse avere una natura tanto tenebrosa.

Era capitato poche volte nella storia del Tempio che un oscuro riuscisse ad arrivare tanto vicino ai Dodici; erano sempre molto vigili, ma Altea era riuscita ad ammaliare tutti.

Ingherin iniziò a deperire mentre Altea le sottraeva energia vitale a sua insaputa, in un processo lento e graduale.

La giovane si chiuse sempre più in se stessa e nessuno percepì lo stringersi della morsa della diffamazione, che la stava legando in una forma morta.

Anche Monràh suo malgrado, conquistata dalla simpatia e dalla disponibilità di Altea, si lasciò condizionare.

La natura sensibile di Ingherin le impedì di confidarsi sul proprio stato di salute emotiva, anche se peggiorava di giorno in giorno.

Fu il giorno di Bolimeth che gli eventi precipitarono: doveva essere una gran festa e Monràh era distratta dai preparativi.

Altea arrivò trafelata al suo cospetto mentre stava preparando il discorso da tenere durante la cerimonia sacra. Pur ascoltandola Monràh aveva una parte di lei concentrata nei propri impegni.

«Mi spiace metterti al corrente di questa cosa Somma, ma credo sia giusto che tu lo sappia.»

«Dimmi Altea.»

«Ho ascoltato casualmente una conversazione fra Ingherin ed una serva....» si lisciò con la mano la tunica color cipria.

Non avere dato importanza a questo gesto fu uno dei particolari che Monràh non si perdonava: il linguaggio non verbale di Altea denunciava fatalmente la falsità dell’accusa. Come aveva potuto non vederlo?

«Sembra che, credimi non vorrei dirtelo, ma Ingherin ha intenzione di danneggiare Rechel, vuole prendere il suo posto alla prossima investitura.»

«Come fai a dire una cosa tanto grave?» le domandò Monràh dandole maggior attenzione.

Hai notato che Rechel non sta molto bene vero?»

«Sì certo… ma cosa c’entra con Ingherin?»

«La sta avvelenando. So di darti un enorme dispiacere, ma non potevo tacere.»

In quel momento l’attenzione di Monràh era completa. Rechel era un’amica fra le più care ed effettivamente aveva notato in lei un progressivo pallore nelle ultime settimane.

«Ingherin si stava assicurando che la serva avesse messo la dose di veleno nel pasto di Rechel. Le ho sentite parlare fra loro, con le mie orecchie!»

Monràh preoccupata ed allibita decise d’agire all’istante, forse un po’ troppo frettolosamente. Il veleno nel cibo di Rechel confermò l’accusa che divenne inappellabile quando furono ritrovate delle fialette della stessa sostanza in una scatola dell’armadio di Ingherin.

L’Iniziata fu subito interpellata senza aspettare il consiglio dei Dodici che in quel momento si trovavano nella Camera della Fonte ad occuparsi della macchina di espansione.

Le prove erano schiaccianti, ma Ingherin dichiarava con disperazione la propria innocenza davanti allo sguardo implacabile di Monràh.

L’Iniziata si sentì tradita nel profondo, una parte di lei si spezzò di fronte alla mancanza di fiducia di una delle persone che più amava. Scappò dal Tempio e non vi fece più ritorno.

La serva a cui si riferiva Altea fu trovata morta nel Giardino di Riposo del Tempio.

Fu Amiroth che scoprì la verità: da tempo aveva messo sotto osservazione Altea, la sua capacità di comprensione delle persone non poteva venire ingannata per sempre.

I Dodici riuniti convennero che era impossibile che uno spirito puro come quello di Ingherin si macchiasse di omicidio ed il passo verso la comprensione degli eventi fu breve.

Conoscere la verità tuttavia, non fu in grado di cancellare il modo in cui Monràh aveva condotto l’episodio.

La ferita inflitta ad Ingherin era anche la sua ed era ancora aperta e sanguinante.

La giovane Iniziata si era rifugiata a nord della Terra dei Barbari ed era diventata la sciamana di un villaggio. Aveva chiuso tutte le porte per i vecchi amici ed il suo dolore era diventato uno scudo impenetrabile.

Monràh avrebbe dovuto recarsi da lei per chiederle di occuparsi della figlia: come avrebbe reagito?

La Somma tremò di fronte a quella prospettiva ma in fondo al cuore sapeva che prima o poi, quel momento sarebbe arrivato.