24) Ingherin

La sciamana ESCAPE='HTML'

I Sommi si godettero come una coppia qualsiasi i quindici giorni di navigazione necessari a raggiungere la costa a nord della Terra dei Barbari.

La vita al Tempio era gravata dai numerosi impegni che il loro ruolo imponeva ed accolsero la piacevole parentesi con piacere.

Una parte di Monràh tuttavia, rimaneva in tensione a causa della prospettiva del confronto con Ingherin, ma l’amore per la figlia rendeva l’evento inevitabile.

Si era imposta di non pensare alle rivelazioni eccezionali degli Dei riguardo al destino di Atlantide, le avrebbe affrontate in un secondo momento.

Ingherin viveva non molto distante dalla montagna sacra di Haturi, in una regione fra le più progredite del territorio barbarico grazie al contatto frequente della sua popolazione con gli atlantidei.

Il maltempo li accolse all’arrivo e proseguì durante tutto il percorso via terra: era ormai Settembre inoltrato ed il freddo e l’umidità cominciavano ad essere pungenti.

«Tra un paio d’ore saremo arrivati.» l’informò Amiroth accostandosi con il proprio cavallo al baio della compagna.

Monrah gli sorrise avvolgendosi più strettamente nel mantello di leggera lana bianca che la riparava dalla fitta pioggerellina.

«Andrà tutto bene!» la rassicurò.

A differenza della compagna si stava godendo la pioggia ed i piccoli rivoli d’acqua che formava, giocando con la sua barba bianca.

«Sembri un bambino!» Monràh scrollò la testa divertita.

«Vuoi mettere? Quante occasioni abbiamo ad Atlantide di goderci la natura e le sue manifestazioni? È troppo bello!»

«Certo e scommetto che goderesti ancora di più se un violento temporale c’investisse!»

Neanche a farlo apposta il rombo d’un tuono sembrò dar vita alle sue parole.

«Oh Dea, ci mancava solo questo!»

«Sarà magnifico!» Amiroth scoppiò in una risata argentina e le abbassò, in un giocoso dispetto, il cappuccio sulle spalle.

«Taci!» l’apostrofò divertita prima d’allontanarsi ad una distanza di sicurezza.

La carovana in cui viaggiavano, composta da quattro soldati e tre servitori, assisteva con divertimento agli scambi giocosi di quella splendida coppia amata da tutti; al Tempio non era facile vederli tanto spensierati.

Il rombo del tuono sembrò solo uno scherzo degli Dei perché il tempo migliorò ed un pallido sole si fece largo fra le grigie nubi che li avevano accompagnati fino a quel momento.

Quando arrivarono al piccolo villaggio, un agglomerato di casette di pietra e tetti di legno, nessuno fece caso a loro: gli abitanti erano abituati alla presenza di stranieri che giungevano da ogni dove per gli scambi commerciali.

L’aspetto della carovana dopo l’esposizione alla pioggia, non rendeva riconoscibili gli illustri ospiti di quel giorno.

Raggiunsero la piazza che in quel momento era affollata per il mercato ed Amiroth scese da cavallo per chiedere informazioni ad un commerciante dal viso paffuto e dal ventre prominente. Gli si avvicinò mentre cercava di piazzare gridando a gran voce, alcuni pezzi di pelliccia di volpe.

«Buongiorno buon uomo.» si presentò utilizzando la lingua locale.

Per quanto la parlasse con correttezza il diverso accento attirò la curiosità del commerciante che l’osservò con più attenzione.

«Buongiorno a lei! Vedo che venite da lontano, posso sapere da dove?»

«Veniamo da Keor!»

L’affermazione lasciò a bocca aperta l’uomo che spalancando gli occhi si rese conto di chi avesse davanti.

«Non posso crederci, è impossibile! Non mi dica che lei è…»

Amiroth sorrise divertito di fronte alle esternazioni del commerciante che qualche attimo dopo, con il volto paonazzo, comunicò a gran voce l’identità dell’ospite.

«Ehi… guardate chi abbiamo qui! Non ci posso credere… c’è Amiroth, il Sommo di Atlantide!»

In poco tempo una folla eccitata si radunò attorno ai nuovi venuti: volevano stringere le mani, toccarli, sentire la vicinanza degli Dei attraverso le loro più importanti rappresentazioni in terra.

«Non se ne parla nemmeno che rimaniate qui fuori, avete bisogno d’un buon fuoco caldo! Venite con me!» sentenziò il commerciante conducendoli ad una locanda per salvarli dal bagno di folla.

Il locale era piuttosto piccolo ed in quel momento vuoto, ma in un attimo si riempì all’inverosimile di clienti bramosi d’ascoltare i Sommi. Il padrone della locanda decise di porre un limite all’accesso per dar modo agli illustri ospiti di stare comodi e di riscaldarsi davanti al falò.

«È una benedizione questo camino!» Monràh allungò le mani infreddolite verso le fiamme, ringraziando il padrone della locanda.

«Lei è una benedizione mia signora!» si sentì rispondere con cavalleria. «Non dimenticherò questo giorno per il resto della mia vita!»

Il mito di Atlantide li rendeva simili a Dei e Monràh accolse con umiltà le esternazioni del locandiere.

Amiroth fece accomodare la compagna sulla panca di legno più vicina al caminetto assicurandosi che stesse comoda e si dedicò ad interrogare il loro ospite.

«Avrei bisogno di alcune stanze per riposare stanotte, ci tratteremo fino a domani.»

«Non c’è problema, abbiamo sette stanze libere in questo momento e sono tutte a vostra disposizione.»

La generosità dei Sommi era conosciuta ovunque e l’uomo sapeva che avrebbero pagato profumatamente la sosta nel suo locale.

Si sfregò le mani soddisfatto.

«Faccio preparare le stanze da mia moglie, nel frattempo potreste ristorarvi con la nostra cucina.»

«Sarebbe un piacere, l’importante è che non sia a base di carne. I Bianchi sono vegetariani, ma penso lo sappiate.

Non tema mio signore, abbiamo verdura, latte, uova… vedrete che riusciremo ad accontentarvi.»

«Ne sono certo! Ho una domanda da porle…» lo trattenne prima di congedarlo.

«Sono a vostra disposizione mio signore!»

«Cerchiamo Ingherin, la sciamana del villaggio. Sa dove possiamo trovarla?»

«La sciamana?» la fronte bombata dell’uomo s’aggrottò in un moto di stupore. «Beh certo che lo so… ma siete certi di volere andare da lei? Nessuno va lì molto volentieri a meno che non sia strettamente necessario. È una vecchia piuttosto accidiosa nonostante qui tutti le vogliano bene. Senza di lei molti di noi non avrebbero superato lo scorso inverno: un’epidemia di febbre ha decimato i nostri bambini ma grazie al suo intervento molti si sono salvati.»

«Vogliamo andare da lei. È una di noi, una Bianca, viene da Atlantide.»

«Da Atlantide? Ma ne siete certi?» l’uomo sbarrò gli occhi in un moto d’incredulità che Amiroth non riuscì a decifrare.

«Lascia stare Amiroth» lo interruppe Monràh parlando sottovoce «se non ha detto nulla delle proprie origini avrà avuto i suoi buoni motivi!»

Il padrone della locanda decise di non approfondire la questione e mise a tacere i propri dubbi con una scrollata di spalle.

«Dovete prendere la via verso la collina, laggiù...» indicò allungando il braccio un punto al di fuori della finestra «...proseguite costeggiando il fiume e troverete la sua abitazione; è completamente isolata dal resto del mondo. D’altra parte» assunse un tono di divertita confidenza «è una sciamana e tutta quella gente è un po’ strana, no?»

«Certo, siamo tutti un po’ strani!» esclamò Monràh pensando al modo vergognoso in cui quell’uomo canzonava le straordinarie capacità di Ingherin.

Il disappunto scemò in un istante sostituito dalla consapevolezza che un barbaro non poteva avere le nozioni necessarie per comprendere la scienza dello Spirito e per riconoscere la ricchezza celata dal corpo, come un diamante inglobato nella roccia. Sorvolò su quel giudizio e distese le gambe verso il fuoco per godersi il caldo tepore che emanava.

«Vuoi andare adesso mia cara?»

«Direi di sì. Se la prendo di sprovvista avrò più possibilità che mi ascolti. Se la voce della nostra presenza la raggiungesse prima che io abbia tentato un approccio potremmo anche non trovarla.»

«Come vuoi mia amata. Mangiamo, scaldiamoci e andiamo! Solo noi due!»

«Sì, solo noi due!» gli fece eco Monràh abbracciandolo con trasporto.

Il cibo era squisito, la moglie del padrone era riuscita a preparare un pasto eccezionale in pochissimo tempo ed Amiroth ringraziò la calda ospitalità donando alla coppia una somma d’oro esagerata.

Rinvigoriti dalla sosta s’incamminarono a piedi verso la casa di Ingherin e Monràh, osservando lo stretto fiumiciattolo che accostava il sentiero, non si stupì che l’amica avesse scelto di abitare vicino all’acqua: fra i quattro elementi era il migliore conduttore d’energia magica.

Il paesaggio lussureggiante era ancora inumidito dalla pioggia e l’aria era satura di petricore; i Sommi camminavano mano nella mano in rigoroso silenzio.

Percorsero un lungo corridoio di vecchi alberi che s’apriva in una radura circondata da una flora fitta e multiforme ed ancora una volta la Somma approvò la scelta di Ingherin: il contatto con la vegetazione era importante per una sciamana, la magia verde si basava esclusivamente sulla conoscenza e sullo scambio delle energie viventi di alberi, fiori e piante.

Era un rapporto d’amore che dava vita a quel tipo di magia così importante per chi viveva in un territorio tanto selvaggio.

Quando si trovarono davanti alla casupola di pietra e legno, Monràh sentì il cuore batterle come un tamburo nel petto. Avvertendo la sua inquietudine Amiroth le strinse la mano e le trasmise la propria calma.

Il caminetto fumava, segno che Ingherin si trovava in casa.

Proprio mentre rifletteva su quel particolare la porta dell’uscio s’aprì e la versione di decenni più vecchia dell’Ingherin che Monràh aveva conosciuto, la guardò dritta negli occhi. Sembrava che sapesse in anticipo del loro arrivo, ma non era poi così strano considerando la sua abilità di sciamana.

La constatazione di come il corpo dell’amica si fosse deteriorato nel tempo a causa della lontananza dall’energia del Fuoco Sacro, le provocò una dolorosa fitta al cuore. Il tempo in quella terra era impietoso con il corpo degli uomini perché l’energia della Fonte scorreva come un reticolo avvolgendo l’intero globo terrestre, ma era attiva in modo importante solo nel centro di Atlantide.

Mise da parte le proprie osservazioni e raggiunse Ingherin fermandosi ad un passo davanti a lei.

L’atmosfera era irreale e le due donne si penetrarono a vicenda con lo sguardo, ma con sentimenti opposti: Monràh era colma di compassione ed Ingherin di rancore.

Fu Amiroth a spezzare quell’istante sospeso nel tempo.

«Ciao Ingherin, sono veramente felice di rivederti!» esordì accompagnando le parole ad un caldo sorriso.

«Cosa siete venuti a fare qui?» li aggredì la sciamana.

Indossava una spessa pelliccia nera per difendersi dall’umidità e dal clima piuttosto rigido, profonde rughe le solcavano il volto ed e capelli ingialliti dal tempo erano acconciati in una miriade di trecce torte, adornate da foglie d’edera.

Si appoggiava ad un bastone di legno grosso e rugoso con incisi simboli che Monràh non seppe riconoscere.

«Ingherin, comprendo come ti senti in questo momento e credimi non avrei mai voluto che le cose fra noi finissero in quel modo.»

«Non avresti voluto? Non mi sembrava! Tanto amore sbandierato e nessuna fiducia! Tu non sai nemmeno cosa significhi la parola “amore” anche se ti vesti di santità.»

Monràh abbassò lo sguardo ricacciando indietro le lacrime, sapeva che doveva lasciarla sfogare ed era consapevole che quel rancore era meritato.

Ingherin infierì, gli occhi azzurri e solcati da vistose borse, stretti in una morsa.

«Sei venuta a chiedere perdono? Vuoi liberarti la coscienza per raggiungere il tuo prezioso Oltre?»

«Non è questo il motivo… se mi lasci spiegare…»

«Lasciarti spiegare cosa? Non puoi immaginare la distruzione interiore che ha provocato il tuo comportamento! A causa tua, per il tuo finto amore, non potrò raggiungere quello che per te è una certezza… non potrò mai entrare nell’Oltre. Vedi come sono adesso?» chiese indicando se stessa con le braccia avvizzite. «Guardati… tu sei fresca come una rosa pur avendo vent’anni più di me. Io sono una vecchia rabbiosa che i barbari sopportano solo per necessità.»

«Capisco.»

Monràh abbassò la testa in segno di profonda umiltà, ma chiese ugualmente con determinazione: «Possiamo entrare?»

«Entrare in casa mia? Non c’è niente che tu non possa esporre anche qui. Se hai qualcosa da dire fallo e poi vattene insieme al tuo compare.»

Amiroth sorrise fra sé di fronte a quell’appellativo, ma decise d’intervenire.

«C’è una cosa che è accaduta e che riguarda proprio te e forse l’Oltre a cui pensi di non potere aspirare!»

Parlò guardandola con franchezza negli occhi, senza alcun vittimismo e le sue parole ebbero il potere di sbilanciare la sicurezza della sciamana.

«Non so di cosa parli! Io sono solo una sciamana non sono più una maga del Tempio.»

«Non ne sarei così sicuro, cara Ingherin. Credo che gli Dei ti abbiano scelta per un compito che prima non potevamo immaginare. È da poco che abbiamo un quadro chiaro della situazione ed è importante che tu conosca tutta la storia. Se ci permetti di entrare e di raccontarti tutto forse anche tu capirai il destino che gli Dei hanno riservato proprio a te, così come sei adesso.»

Pur mantenendo il suo atteggiamento bellicoso Ingherin si fece da parte e permise loro di entrare nella piccola ma accogliente dimora. Quando Monràh la vide capì che la sua Ingherin era ancora la donna che aveva conosciuto: il dentro della dimora era profumato, pulito ed accogliente. Fiori freschi erano sparsi ovunque ed il tocco gentile della mano femminile era inequivocabile.

Si voltò verso di lei e s’accorse che Ingherin la stava perforando con gli occhi, ma poi distolse lo sguardo e si diresse al piccolo camino per ravvivare il fuoco con una ciocca di legno. Prese una teiera e la riempì d’acqua.

«Non posso offrirvi un granché, venendo da Atlantide non credo apprezzerete del semplice tè, ma ho solo questo.»

I Sommi sorrisero di fronte ai commenti acidi della sciamana.

Attesero in un silenzio imbarazzante che il tè fosse pronto e lo sorseggiarono scaldandosi le mani con il calore della tazza.

«Vi ascolto!»

«Vorrei parlartene io perché sono la causa di tutto quello che è accaduto.» esordì con cautela la Somma.

Ingherin stava per intervenire, ma ripensandoci si azzittì ed ascoltò il proseguo a capo chino.

«Voglio che tu sappia che quel giorno ho sbagliato con te e non sono stata degna del ruolo che ricoprivo. Hai perfettamente ragione ad essere arrabbiata con me, ad odiarmi.

Ingherin taceva.

«Il dolore che tu hai nel cuore è anche il mio, voglio che tu lo sappia. Nemmeno immagini quante volte ho provato a contattarti, per spiegarti, per scusarmi! Sì, sono caduta in inganno! L’essere la Somma non ti semplifica le cose, anzi! Tutto diventa più difficile e non sempre si è all’altezza del compito. Mi sono chiesta mille volte perché la Dea, che è sempre al fianco di noi donne, non sia intervenuta per ristabilire la giustizia delle cose e sappi che io sono colpevole e ne sono consapevole!»

Ingherin la guardò con gli occhi leggermente velati di lacrime mentre il ricordo dell’ingiustizia subita si ripresentava nitido, come se il tempo non fosse passato.

«Tu sei una di noi e lo sarai sempre!» calde lacrime di commozione scivolarono con gentilezza sul volto della Somma, ma continuò senza imbarazzo. «Non c’è modo di non essere ciò che si è, il proprio lignaggio può venire oscurato per un certo tempo, ma il sangue rimane puro. Abbiamo scoperto il disegno che gli Dei hanno riservato a te, così come sei oggi, con la tua storia. Tu sei e rimani una maga del Tempio dei Bianchi!»

«Vi ascolto.» Ingherin aveva assunto un tono meno bellicoso nel sentirsi riconoscere il proprio diritto di nascita.

I Sommi avevano deciso in precedenza di non nasconderle nulla poiché era una parte fondamentale del disegno scritto dagli Dei ed aveva tutto il diritto di essere trattata alla pari dei Dodici.

«Tu sei la tredicesima maga del Tempio, ma solo ora abbiamo capito davvero la cosa: sei colei che è morta, permettendo al seme della vita di rinascere in una nuova forma.

Ingherin si sentì percorrere ogni centimetro di pelle da intensi brividi ed un’incredibile luce multicolore sprigionò dal suo corpo senza che ne fosse consapevole.

I Sommi non avevano mai visto niente del genere e guardarono incuriositi il fenomeno senza farglielo notare per non spezzare un momento tanto cruciale.

Monràh le narrò gli eventi che vedevano coinvolta la figlia, la mise al corrente delle rivelazioni degli Dei riguardo ad Atlantide e le parole della Profezia che anche Ingherin conosceva molto bene.

La sciamana tacque per un lungo momento dopo il racconto e quando parlò la luce multicolore era svanita, ma lei era molto più serena.

«È incredibile, Atlantide scomparirà davvero.»

«Sì, questo è quello che accadrà.»

«Ed io cosa c’entro in tutto questo, visto che sono solo una sciamana?»

Gli Dei vogliono che il bambino cresca in questa terra e che Phale diventi ugualmente una maga del Tempio di Smeraldo. È per questo che il destino ti ha portata qui, nonostante le tue indubbie capacità e prospettive quando eri fra noi. Era qui che tu dovevi stare per accogliere il seme della nuova razza che Phale porta in grembo.»

Ingherin fu nuovamente percorsa da brividi intensi in tutto il corpo ed ancora una volta la luce multicolore le fece brillare il corpo.

«Non so cosa dire… è tutto così… grande!»

«Lo so e lo capisco» intervenne Amiroth con pacatezza «non ti chiediamo di perdonarci perché il tuo rancore è giusto e sei stata trattata da noi, che avevamo il compito di proteggerti e sorreggerti, nel modo più indegno possibile. Non ci sono scuse, ma la tua sapienza è cresciuta al Tempio ed è questo che gli Dei volevano da te. Ti volevano così come sei oggi, pronta a fare la tua parte nel destino del mondo.»

Ingherin tacque turbata e si riempì nuovamente la tazza di tè senza pensare di offrirlo anche agli ospiti.

«Non so se riuscirò a perdonarti.» si rivolse con sincerità alla Somma mentre calde lacrime le solcavano il volto, rivelando tutto il dolore covato in quegli anni.

«Lo capisco ed accetterò qualsiasi tua decisione, non voglio forzarti. Solo i Dodici sono a conoscenza del disegno degli Dei ed ora ci sei tu… la tredicesima maga del Tempio dei Bianchi. A tutti gli effetti il nostro Ordine oggi ha un numero nuovo, il Tredici, che ci sta proiettando in una realtà completamente diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto.» affermò Mon-ràh con solennità. «Devo anche dirti Ingherin, che per la natura apocalittica delle notizie di cui ti abbiamo resa partecipe, affinché non si crei il panico fra la popolazione qui e ad Atlantide, queste mura dovranno conservarne il segreto.»

«Certo, capisco perfettamente la portata di queste rivelazioni e su questo gli Dei hanno la mia parola, ma non so se sono pronta ad accettare questo incarico. Io vivo da sola da molto tempo e mi volete dare una bambina ed un bambino da crescere? Non credo di esserne all’altezza!»

«No, non sono un bambino ed una bambina… sono due maghi di Atlantide di stirpe reale, saranno come sei tu oggi. Il sangue di Atlantide scorrerà in territori diversi ed in modi diversi che per noi oggi, è difficile concepire.»

«Vi chiedo di darmi del tempo per riflettere. Le emozioni di oggi sono state troppe ed intense e voglio ragionare con calma.»

«Lo capiamo.» Monràh si azzardò per la prima volta a toccarle la mano in segno d’affetto ed Ingherin non la ritirò.

Osservò la mano bianca posata sulla sua ed assorta in se stessa li congedò.

«Tornate domani!»