3.

L'innesto

Mahina ESCAPE='HTML'

Il porto che ospitava le navi dei mercanti che si erano date appuntamento in massa per la celebrazione di Bolimeth, si era svegliato prima del sorgere dell’alba per dare vita ad una giornata densa di preparativi: casse colme di cibo, bevande, stoviglie, fiori ed ogni genere di necessità dovevano essere trasportate in tempo ai luoghi di destinazione.

Gli scaricatori lavoravano ad un ritmo frenetico, spostando la merce dalle grosse navi alle piccole imbarcazioni adatte alla navigazione dei canali di Atlantide o, nel caso di merci meno pesanti, alle portantine da terra issate sulle spalle degli schiavi o dei servitori.

Le grida ed i rumori di queste frenetiche attività sovrastavano il canto degli uccelli che, in giornate meno inusuali, era il padrone incontrastato del porto.

Le stradine addobbate di Keor risuonavano allo stesso modo: di lì a qualche ora avrebbe avuto inizio la funzione sacra seguita dai festeggiamenti, dalla musica, dai canti, dalle danze, dall’abbondanza di cibo ed idromele.

Bolimeth causava un’impennata vertiginosa nelle nascite di nuovi amori.

Le giovani ragazze di Keor ci misero più dell’usuale per agghindarsi quella mattina: avevano pronto da giorni l’abito adatto e fremevano nell’impazienza d’indossarlo, sotto lo sguardo divertito di coloro che, avendo vissuto più a lungo, erano meno eccitati per la novità.

I giovani maschi invece, bramavano il momento in cui avrebbero potuto affrontare le numerose competizioni fisiche od intellettuali ideate per misurare il loro valore ed esternralo alla collettività.

Non c’era distinzione di sesso o d’età invece, per le dimostrazioni collettive di magia.

Durante l’anno tutti gli abitanti si esercitavano con diligenza in modo da ampliare le loro facoltà: si trattava di riti piuttosto semplici, come la trasformazione del colore d’un oggetto, la preparazione di filtri o la lettura del pensiero, ma costituivano il perno portante di tutta la cultura atlantidea.

L’arte magica era insegnata nelle scuole fin dalla più tenera età, ma per diventare Iniziati ed accedere allo studio di testi più avanzati, si doveva essere prescelti dai maghi del Tempio dopo un’attenta valutazione.

Era indispensabile dimostrare una predisposizione all’integrità che sarebbe stata ulteriormente messa alla prova durante l’iniziazione.

Per i maghi della Confraternita non era raro scoprire una perla nascosta proprio durante una di queste dimostrazioni pubbliche.

La funzione sacra era percepita come un fastidio dai giovani, la festa con tutte le sue attrattive li attendeva, ma la sopportavano sapendo che grazie ad essa i Sommi convogliavano su ogni abitante grandi folate d’energia positiva. 

Saros ESCAPE='HTML'

Saros era un giovane di poco più di vent’anni dai capelli ramati, che incorniciavano un viso lentigginoso in cui spiccavano un paio d’occhi nerissimi dal taglio cadente. Non era molto alto e la corporatura tendente al flaccido, nonostante la giovane età, tradiva uno stile di vita sedentario.

Abitava nel terzo Distretto e non aveva origini aristocratiche od abilità magiche tali da poterlo elevare socialmente.

La sua più grande ambizione era quella di superare la propria condizione ed essere ammesso nella Confraternita, ma per quanti sforzi facesse i Maghi Bianchi sembravano non volerlo prendere in considerazione.

Il senso di frustrazione, sorto dopo ripetute delusioni, ne aveva acuito l’indole vendicativa.

Il suo destino sembrò mutare un giorno, grazie all’incontro all’apparenza casuale con Thotme. Il Mago Nero gli offrì in cambio del suo aiuto ciò che i Bianchi gli continuavano a negare.

Per questo scopo si era dedicato, con discreto successo grazie alla sapiente guida di Thotme, al corteggiamento di Mahina la figlia dei Sommi.

La mattina di Bolimeth si guardò allo specchio un’ultima volta, compiaciuto dalla vista della propria immagine riflessa e pensò con soddisfazione che la ragazza non avrebbe avuto scampo.

Aveva risposto bene, sebbene con un certo riserbo, alle sue avance e più d’una volta si erano appartati per dedicarsi ad innocenti effusioni e confidenze.

Thotme gli aveva raccomandato di non spingersi oltre, poiché la verginità della fanciulla doveva essere preservata.

A dire la verità non era stato semplice frenare gli istinti che gli tormentavano i lombi: Mahina era davvero bella, aveva un corpo pieno e sodo.

Si complimentava ogni volta con se stesso: nonostante la fatica riusciva a trattenersi e questo dimostrava la sua forza di carattere, il fatto che un giorno sarebbe potuto succedere a Thotme.

Del resto, pensava, lo stesso Gran Maestro si era congratulato con lui in più occasioni e non si trattava di un uomo che elargiva complimenti con facilità; aveva riconosciuto il suo valore, aveva intuito le sue potenzialità eleggendolo a suo probabile delfino.

La vita gli stava sorridendo: anche se privo di natali altolocati, sarebbe comunque asceso alle più alte sfere di comando e non gli importava che fossero dei Neri piuttosto che dei Bianchi.

Uscì di casa sorridendo e si diresse al luogo dell’incontro pattuito con Thotme, la casa di Amir, nel terzo Distretto.

L’aveva scelta casualmente, ma con ponderazione per non dare adito a sospetti che l’avrebbero potuto collegare a lui.

Era un edificio modesto e solitario, dalle mura ingrigite dal tempo e celato alla vista da una fitta vegetazione.

Quando vi giunse non c’era anima viva.

Aveva agito la sera precedente, presentandosi davanti alla porta di Amir, il commesso che vi abitava. Costui era un individuo dall’aspetto esile ed effeminato e non nascondeva una certa predilezione per la compagnia maschile: in più occasioni Saros si era accorto di essere l'oggetto dei suoi sguardi obliqui, ma non gli aveva mai dato soddisfazione.

Amir aprì l’uscio rimanendo sorpreso dalla visita inaspettata e ad un’ora tanto inusuale. Conosceva il giovane di vista, aveva svolto per lui alcuni compiti ma mai per via diretta.

Quando Saros gli comunicò che l’ordine di recarsi al Decimo Distretto per recuperare una missiva importante proveniva dai Sommi, sentendo nominare le autorità più importanti di Keor, anche se aveva lavorato per tutto il giorno duramente, si affrettò ad eseguirlo.

Non sapeva che il destino lo stava attendendo sotto le spoglie di due uomini senza scrupoli, assunti per l’incarico e pagati profumatamente.

S’incamminò rassegnato lungo le strette vie ciottolate, godendosi i rumori provenienti dalle case addossate alle stradine che raccontavano l’intimità della vita domestica dei loro abitanti. La cosa che più gli mancava era una famiglia, viveva solo da moltissimi anni.

Avanzando a passo spedito realizzò che tutto sommato non era così male assaporare Atlantide a quell’ora: era priva del frastuono dei bambini che giocavano gridando e zigzagando per le strade e non si udivano le urla dei mercanti e delle donne intente alle proprie faccende domestiche.

La temperatura decisamente tiepida, inoltre, rendeva quell’atmosfera dai rumori attutiti molto piacevole.

Fischiettando raggiunse l’angolo d’una via solitaria, ma quando svoltò fu preso alla sprovvista e si trovò faccia a faccia con due uomini dall’aria bellicosa.

«Ma bene, guarda chi è arrivato!» sghignazzò uno dei due, esibendo una dentatura annerita dalla carie.

Amir si spaventò a morte, non era mai stato un uomo coraggioso. Si bloccò sul posto ed iniziò a balbettare mentre indietreggiava cautamente.

Uno degli aggressori lo raggiunse e gli bloccò le braccia, ponendosi alle sue spalle.

«Dove credi di andare bellezza? Non vorrai mica scappare… Che ne dici?» propose rivolgendo un ghigno feroce al compagno «ci divertiamo un po’ con lui prima di compiere il nostro dovere? Sono certo che non gli dispiacerà, vero amico?»

«Perché no? È un bel ragazzo… inizi tu od inizio io?»

Il corpo violentato e martoriato del commesso fu ritrovato qualche giorno più tardi, sepolto in un vicolo cieco adibito alla raccolta per il riciclo di carte e cartoni. La mole di rifiuti lo aveva nascosto alla vista e fu solo l’odore insopportabile del cadavere in decomposizione che tradì la sua presenza. Fu classificata come aggressione sessuale e divenne uno dei tanti mi-steri senza risposta, uno degli innumerevoli volti senza giustizia.

La casa di Amir era quindi disabitata e disponibile per i piani del Gran Maestro.

Saros vi si diresse senza indugio la mattina di Bolimeth e, dopo essersi chiuso la porta d’ingresso alle spalle, preparò l’abitazione.

Si assicurò che Thotme avesse il massimo del comfort per mettere in atto le proprie intenzioni.

Quando avvertì alcuni rumori all’esterno s’affrettò ad aprire la porta non prima però di essersi assicurato che non si trattasse di ospiti indesiderati.

La prima persona che scorse fu Mahina, sospinta da Thotme e da due uomini che non conosceva, ma che presumibilmente erano scienziati del Tempio di Boham.

Le pupille dilatate e lo sguardo fisso denunciavano l’ipnosi a cui era stata indotta la ragazza.

Saros si fece da parte permettendo al piccolo gruppo d’entrare e richiuse alle loro spalle la porta d’entrata, sbarrandola con due giri di chiave.

Thotme era perfettamente calmo e centrato ed ordinò senza tanti preamboli d’indicargli la stanza predisposta per l’innesto.

Entrò nella camera di Amir, sul cui letto Saros aveva steso i teli sterili che il Gran Maestro gli aveva affidato in precedenza: l’innesto richiedeva un’accurata pulizia, onde evitare pericolose infezioni che avrebbero potuto vanificare i loro sforzi.

Thotme ordinò a Mahina di distendersi sul letto e la fanciulla eseguì meccanicamente le istruzioni, mentre i due scienziati armeggiavano con le loro borse per trarne gli strumenti di lavoro.

Fu con disappunto che Saros si vide chiudere la porta in faccia, ma sapeva che per accedere alla conoscenza di quelle pratiche, che univano il potere della scienza a quello della magia, bisognava occupare delle posizioni sociali molto più elevate.

Si rassegnò ad attendere il suo momento e dopo essersi versato dell’ottimo idromele scovato in una delle credenze della cucina, si accomodò in una poltrona ricoperta da una stoffa scolorita e piuttosto lurida.

Si sentiva appagato: la giornata si preannunciava colma d’interessanti sviluppi ed ancora una volta si rallegrò della propria fortuna.

Dopo circa un’ora Thotme uscì solo dalla stanza.

«È il tuo turno ora.» gli comunicò. «Ti raccomando di non spaventarla! Quando si sveglierà dall’ipnosi si sentirà confusa e non ricorderà che cosa è accaduto. Attieniti al piano e tutto andrà bene. Non ci sono stati problemi nell’innesto e la formula del Libro delle Ombre sembra avere annullato le resistenze del sistema immunitario di Mahina. Ho percepito con precisione la vitalità del seme!» affermò con soddisfazione dopo essersi versato nel bicchiere l’idromele offerto da Saros.

«Si tratta di una scoperta eccezionale… pensa a come potremo usare la formula nel futuro per raggiungere le alte sfere dei Bianchi: non ci saranno più distinzioni, nessuna divisione!» concluse soddisfatto.

Saros annuì e sorridendo entrò nella stanza in cui Mahina giaceva ancora priva di sensi.

Era assistita dai due scienziati che si stavano occupando de-gli ultimi dettagli.

«Io rimarrò qui ancora un po’» aggiunse Thotme osservandolo dalla porta «nel caso avessi bisogno di qualcosa o qualora la ragazza si svegliasse troppo agitata ed avesse bisogno di essere calmata. Lasciala svestita, altrimenti potrebbe pensare che non sia accaduto nulla e tu mettiti accanto a lei… bene… così. Sì, direi che è tutto perfetto.»

Mahina si riprese dal sonno ipnotico completamente disorientata e con un cerchio pesante alla testa.

Quando la realtà riassunse un discreto equilibrio, si guardò intorno confusa e colma di stupore: accanto a lei c’era Saros che, girato dalla parte opposta, sembrava dormire.

«Oh mia Dea…»

A quel grido Saros si svegliò e sbadigliando le sorrise.

«Come stai amore?»

Mahina fissò il ragazzo con gli occhi spalancati dall’orrore e dalla confusione.

«Che cosa è successo? Io…» balbettò.

«Tranquilla amore, è stato bellissimo, hai ecceduto con l’idromele e ti sei addormentata. È stato il giorno più bello della mia vita e sono contento che ti sia lasciata andare. Oggi non è solo la festa di Bolimeth, è anche la festa del mio cuore.»

Mahina non riusciva a credere alle proprie orecchie, ma la loro nudità sotto le lenzuola denunciava qualcosa che lei non ricordava in alcun modo.

Le guance le si arrossarono d’imbarazzo in un primo tempo e di rabbia in un secondo.

Con un balzo scese dal letto, avvolgendosi con il lenzuolo che copriva entrambi e lasciando Saros completamente nudo.

Ulteriormente imbarazzata dalla vista della virilità del giovane, affermò concitata:

«Non è possibile… Saros… non può essere accaduto! Non ricordo niente… come ho potuto fare quello che insinui, se nemmeno lo rammento?»

Thotme le aveva deposto nella mente dei finti ricordi che iniziarono ad emergere con dovizia di particolari: lei che beveva l'idromele, Saros che la baciava, che l’accarezzava in modo sempre più intimo, lei che cedeva aprendosi a lui.

Lo aveva fatto davvero! Come aveva potuto essere stata così sciocca e sconsiderata?

Intanto Saros continuava con abilità la propria recita.

Indossò i pantaloni e le si avvicinò con fare accomodante.

«Tesoro, non preoccuparti, è stato bellissimo. Sai che sarebbe accaduto prima o poi. Io ti voglio sposare. Non importa se non ti hanno ancora iniziata nella Confraternita: chi vuoi che lo venga a sapere a parte noi due? Dai… baciami. Ti staranno cercando per la funzione sacra… sai che tua madre ci tiene che tu sia accanto a lei. La Dea ti proteggerà, vedrai… anzi, sicuramente ha celebrato assieme a noi il nostro amore. Non ti è piaciuto? Quelle stupide usanze sono antiche come gli anziani e lo sai bene! Per ora dobbiamo accettarle e fare le cose di nascosto. Un giorno, insieme, le cambieremo!»

Mahina, completamente avvinta dal proprio turbamento, ascoltava immobile le parole di quel serpente sinuoso che con dolcezza sembrava minimizzare qualcosa che avrebbe avuto conseguenze gravissime nella vita di entrambi.

Anche Saros, nel caso i Maghi del Tempio lo avessero saputo, non avrebbe potuto più entrare nella Confraternita: purezza ed integrità erano elementi indispensabili all’iniziazione.

La mente di Mahina recuperò un certo autocontrollo che le permise di pensare nonostante l’orrore che provava.

Saros cercava di tranquillizzarla con parole che l’inducevano a creare un’alleanza che fino a quel giorno non aveva minimamente preso in considerazione.

Accettare il suo corteggiamento era stato un gioco innocente che le aveva permesso di conoscere il proprio potere di seduzione.

Non era innamorata di lui, mentre il giovane sembrava completamente rapito.

“Come è potuto accadere?” si chiese nuovamente ed ancora una volta le immagini dell’illusione magica presero forma, rammentandole gli eventi dell’amplesso.

Sconfitta, sprofondò sul letto e si coprì il volto con le mani in un gesto disperato.

Saros, divertito dalla situazione, le s’inginocchiò davanti.

«Oggi io, Saros, prendo te come mia legittima sposa…»

Mahina scrollò il capo con rassegnata disperazione, ma Saros continuò imperturbabile:

«Anche se lo faremo più avanti, tu sei mia! Stai tranquilla, nessuno saprà niente. Io e te per sempre!» concluse cercando d’abbracciarla.

Mahina l’allontanò infastidita e si guardò attorno per cercare i propri vestiti: li individuò ammucchiati in un angolo della stanza. Li raccolse ed intimò con fermezza a Saros d’uscire dalla stanza per permetterle di vestirsi. Il ragazzo sorrise fra sé davanti a quella manifestazione di controllo e pudore, ma fece quello che gli aveva chiesto.

Quando lasciò la stanza trovò davanti all’uscio Thotme, pronto ad uscire.

I due uomini si lanciarono uno sguardo di soddisfazione e dopo un ultimo cenno d’approvazione il Gran Maestro se ne andò.

Seduta sul letto sfatto Mahina cercò di raccogliere i pensieri sul da farsi, ma l’idea dello scandalo che sarebbe conseguito e che avrebbe colpito anche i genitori non le permetteva di ragionare con lucidità.

Non avrebbe potuto parlarne con nessuno perché aveva infranto una delle regole principali della Confraternita.

Il sogno d’occupare un giorno il posto della madre s’infrangeva contro quell’orribile realtà.

Nuovamente, quasi a voler acuire il suo dolore, le immagini del suo corpo che rispondeva alle carezze di Saros le si affacciarono alla mente.

Non avrebbe mai creduto che la prima volta con un uomo potesse essere tanto disgustosa: nelle sue fantasie lo immaginava come un evento speciale che avrebbe ricordato per sempre. Non lo avrebbe mai dimenticato, questo era certo.

Si obbligò a reagire, si rivestì e dopo aver guardato i capelli scompigliati allo specchio del vecchio comò della stanza, li raccolse in una coda molla.

Uscì dalla stanza e trovò Saros che l’attendeva accanto alla porta. Cercò qualcosa di significativo da dirgli, ma le parole le si spegnevano in bocca prima di formularle.

Le dispiaceva per lui, ma era anche molto arrabbiata.

Aprì la porta spingendolo da parte senza tante cerimonie ed uscì per tornare al Tempio.

Saros la seguì sghignazzando fra sè: aveva la situazione sotto il pieno controllo e la sensazione di potere che ne conseguiva gli dava una forza che non aveva mai sperimentato in precedenza.

Percorsero in rigoroso silenzio le vie affollate per la festa, attraversarono la piazza di Keor e Mahina, come faceva sempre in un rito che era più un’abitudine che un atto cosciente, si fermò alla Fontana Immacolata per toccare l’acqua.

Si lavò il viso quasi a togliersi la sensazione di sporcizia che provava per sé stessa e questa semplice abluzione le donò la calma di cui aveva bisogno per sostenere senza vergogna lo sguardo della madre.

Saros fece altrettanto e lei lo guardò ancora una volta, senza sapere cosa pensare di lui.

Si chiese come aveva potuto donare ad un uomo del genere la propria verginità: non era mai stato il suo tipo ed in quel momento poi, lo trovava repellente.

Non c’era riposta, forse era stato davvero l’effetto dell’idromele a cui non era abituata. Forse… Doveva calmarsi.

«Senti Saros…» interruppe la pesante coltre di silenzio e si fermò ai piedi della collina brulicante di fiori e piante, sulla cui cima troneggiava il Tempio di Smeraldo.

Il giovane che fino a quel momento si era tenuto a debita distanza, si avvicinò per ascoltarla.

«Questa cosa… giurami che non ne parlerai con nessuno!» Lo guardò dritto negli occhi fremendo di tormento ed il giova-ne sostenne serenamente quello sguardo disperato.

«Non preoccuparti, Mahina. Sai che non ti farei mai del male» mentì con impudenza «e poi anch’io ho tutto da perdere se si dovesse venire a sapere. Non potrei più venire iniziato e io non ho nemmeno i tuoi lustri natali.»

Infastidita, Mahina l’interruppe bruscamente.

«Sai perfettamente che puoi essere anche il più grande fra gli uomini, ma non hai potere di fronte alle regole del Tempio. Io e te faremo la stessa fine, la stessa triste fine! Guarda!» esclamò additando una giovane ragazza che stava passando davanti a loro.

Manteneva lo sguardo fisso a terra ed indossava la semplice tunica grigia degli Intoccabili: era il prezzo da pagare per chi infrangeva le regole.

Accettare il ruolo d’Intoccabile era una delle opzioni, altrimenti si poteva uscire da Atlantide nella Terra dei Barbari, dove la sorte non era certo migliore. Si trattava d’un luogo ancora primitivo e privo della civiltà a cui gli atlantidei erano abituati.

«Se si dovesse venire a sapere diventerei come lei e probabilmente dovrei stare per tutta la vita al Tempio a fare la serva, senza poter guardare mia madre e mio padre negli occhi, sapendo che si vergognano profondamente di me. La mia impurità terrebbe tutti i miei amici lontani, perché rischierei di corrompere anche la loro integrità. Tu forse potresti essere un Intoccabile nei Distretti, diventeresti il servo di tutti, ma almeno non dovresti vergognarti per il resto della vita di fronte ai tuoi amici. Potresti addirittura andare a vivere nell’ultimo Distretto: lì non si fa tanto caso agli Intoccabili, ce ne sono tanti. Devi giurarmi che manterrai il nostro segreto!» concluse con intensità.

Saros la guardò con finta comprensione e le promise il silenzio solenne che li avrebbe legati per la vita.

Disprezzava profondamente la paura di Mahina, ma ancor di più le regole assurde a cui i Bianchi costringevano gli Iniziati alla Confraternita, compresi, come in quel caso, i figli degli Eletti.

Che diritto avevano di decidere chi era puro e chi non lo era? Con quale autorità decretavano il destino delle persone che cadevano in errore?

Tutto questo doveva finire e Saros era certo che gli Dei lo avevano messo al mondo per interrompere qualcosa che nel corso della vita di Atlantide aveva portato enormi dispiaceri a moltissime persone.

In quel momento si sentì il salvatore del mondo, investito da un compito che aveva dell’eroico.

Si lasciarono, non senza sollievo da parte di Mahina, davanti alla grande scalinata che conduceva al Tempio.

Durante il tragitto verso la propria stanza incrociò molte maghe affaccendate nei propri compiti e tutte la salutarono allegramente senza accorgersi del suo stato d’animo.

Arrivata davanti all’ingresso della propria stanza tirò un sospiro di sollievo, ma una voce alle sue spalle la raggelò: si trattava di Monràh.

Fortunatamente la madre non si fermò a parlarle diretta-mente occupata com’era dai preparativi per Bolimeth; mantenendosi a distanza l’invitò ad affrettarsi nella Sala delle Cerimonie per l’inizio della funzione.

Mahina entrò nella stanza e chiamò Gelkares, l’Intoccabile che si occupava di lei, ordinandole di acconciarle i capelli.

Mentre si dirigeva alla Sala delle Cerimonie pensò a com’era cambiato il corso della giornata, il destino sembrava aver giocato malignamente con la sua vita impedendole per sempre l’accesso all’Oltre. La Sala era affollata: i Maghi Neri erano mescolati ai Bianchi, seduti gli uni di fronte agli altri ai lati dell’altare, in un evento unico nel suo genere.

Vedendola arrivare, Rechel si scostò per permetterle di accomodarsi e le sorrise scuotendo bonariamente la testa per il leggero ritardo.

Essendo la figlia dei Sommi le veniva riservato un posto accanto ai Dodici i quali costituivano l’autorità prima del Tempio di Smeraldo.

All’altro lato dell’altare, in una posizione d’onore dovuta al rango, Thotme sedeva tranquillo con accanto Mhanna ed i membri della loro Confraternita.

Mentre Amiroth e Monràh omaggiavano gli Dei, i Maghi Neri osservavano divertiti la tempesta emozionale che la figlia dei Sommi non riusciva in alcun modo a dissimulare.