4.

La macchina di espansione

Paloth Mago Bianco ESCAPE='HTML'

Amiroth, il Sommo Mago dei Bianchi, era un uomo di media altezza, flessuoso ed agile grazie alla costante attività fisica a cui si dedicava. Curava in modo maniacale la barba color latte, ma il punto di maggior forza erano i grandi occhi d’una splendida tonalità verde acqua che accendevano un volto luminoso e dai tratti regolari.

In quella giornata di celebrazione si sarebbe dedicato interamente alla raccolta dell’energia sacra dei due Soli di Atlantide in congiunzione.

Era un compito affidato alla parte maschile del Tempio di Smeraldo: dopo aver celebrato la funzione sacra ed aver presenziato all’inizio della festa, i maghi si occupavano della macchina di espansione, uno strumento costruito millenni prima da un tecnomago dotato d’un ingegno fuori dal comune; le opere che aveva lasciato in eredità ad Atlantide sembravano provenire da altri mondi tanto erano proiettate nel futuro.

La macchina di espansione costituiva il segreto più importante della Confraternita dei Bianchi.

Vi potevano accedere unicamente i Dodici Maghi più illuminati, grazie ad un passaggio sotterraneo del Tempio, la cui entrata era occultata da un potente incantesimo.

Il gruppo dei Dodici era costituito da sei maghi ed altrettante maghe e tutti, grazie al percorso iniziatico che li aveva condotti alla sublimazione spirituale, erano destinati all’Oltre al termine della loro esistenza.

Erano in grado di avvicinarsi senza conseguenze alla Fonte di energia primaria, un fiume sotterraneo che veniva alimentato dal Sole Nero che orbitava nelle viscere della Terra.

L’energia del Sole Nero convogliava proprio al centro di Keor, in corrispondenza del Tempio e donava energia illimitata ad Atlantide, attraverso un’immensa rete di condotti, i tunnel interdimensionali, edificati migliaia d’anni prima dai Lemuriani, una razza di uomini ormai estinta.

I Lemuriani possedevano conoscenze d’ogni genere e l’integrità spirituale di cui erano dotati permetteva loro di viaggiare liberamente in qualsiasi dimensione desiderassero; grazie a questa capacità il popolo di Atlantide li aveva soprannominati “Viaggiatori del Tempo”.

I tunnel erano utilizzati a questo scopo, ma le conoscenze per poterli usare come i Lemuriani e non solo come conduttori di energia, erano conosciute unicamente da pochissimi eletti che avevano l’obbligo di mantenere il segreto.

Trovarsi a diretto contatto con la Fonte era un pericolo per gli uomini privi delle qualità spirituali necessarie: se da una parte donava vitalità, salute e giovinezza perpetua, dall’altra li poteva trascinare in un oblio di follia.

L’energia della Fonte agiva sui bisogni inespressi degli individui non spiritualizzati, allentando in modo progressivo la volontà e l’attenzione dell’anima ed espandendola verso un abisso senza fine.

Era un evento terribile che veniva narrato ai bambini di Atlantide attraverso la storia di Tohuti, un atlantideo vittima della macchina di espansione: durante l’infanzia era stato in competizione con il fratello minore, preferito dai genitori per il talento artistico. Il rancore si era nel tempo trasformato nell’intimo desiderio di vendetta verso il fratello, colpevole di oscurare ogni sua aspirazione.

Attraverso vari intrighi, Tohuti riuscì ad accedere alla macchina di espansione e quell’unico micidiale contatto costituì la sua fine.

Con la coscienza occultata dal potere della Fonte uccise brutalmente il fratello, i genitori e tutti coloro che a suo dire lo avevano trattato ingiustamente.

Organizzò in poco tempo un piccolo esercito reclutato grazie all’energia magnetica donatagli dalla Fonte: la sua arte oratoria divenne così convincente da riuscire a persuadere chiunque dell’impossibile.

Sprofondando sempre più nella follia e trascinando tutti coloro che venivano a contatto con lui, diede inizio ad una guerra.

Depredò le case di Atlantide, Distretto dopo Distretto in attacchi violenti ed improvvisi, torturando ed uccidendo gli abitanti.

In quel periodo il terrore d’un mostro senza volto ed imbattibile attanagliò gli atlantidei e fu solo l’intervento dei Dodici che riuscì a circoscrivere il problema ed a porre fine a quel periodo di sangue: utilizzando la sapienza magica, isolarono Tohuti e lo relegarono in una dimensione inferiore.

La storia di Tohuti costituiva un monito formidabile per allontanare il desiderio di avvicinarsi alla Fonte nella popolazione comune che si accontentava così, di venire investita dalla formidabile energia per via indiretta grazie ai Dodici.

***

Terminata la funzione di Bolimeth ed allontanatosi dai festeggiamenti, Amiroth s’accostò alla statua del Dio Tef: si trattava d’una scultura d’oro purissimo, ornata da numerosi smeraldi ed alloggiata in una delle cappelle del Tempio.

La tunica della scultura nascondeva un congegno simulato da uno degli smeraldi; lo sollevò verso di sé e lo girò prima in un senso poi nell’altro, ripetendo l’operazione una seconda volta.

Lo smeraldo si schiuse a metà e rivelò una serratura in cui infilò la chiave d’oro a forma romboidale necessaria a far scattare il meccanismo d’apertura del passaggio sotterraneo.

Formulò le parole d’incantesimo per attivare il potere della chiave e sotto i suoi piedi si spalancò il passaggio che conduceva alla macchina di espansione.

Discese gli scalini piastrellati mentre le torce di energia magnetica agganciate alle pareti di pietra grezza si accendevano automaticamente al suo passaggio.

Avvicinandosi alla macchina di espansione, avvertì l’energia della Fonte espandergli i polmoni; si fermò qualche secondo, allentò i pensieri raccogliendosi in meditazione e si tuffò in quell’oceano infinito.

L’ultimo gradino lo introdusse in una camera molto grande e luminosa, al cui centro troneggiava la macchina di espansione, una struttura imponente che scintillava di luce azzurrina e fluorescente.

Anche il pavimento era ricoperto da una fitta nebbia dalla stessa luce, tanto che i piedi di Amiroth vi scomparvero in mezzo.

Si avvicinò alla macchina ed iniziò ad armeggiare con le leve ed i pulsanti che raccoglievano l’energia dal Sole Nero sotto la Terra e da quello sopra di essa.

L’energia saliva e scendeva a spirale convogliando nella macchina di espansione.

Quel luogo era il nucleo della rete energetica e da lì, attraverso un intricato sistema di condotti sotterranei, veniva portata ovunque.

I tunnel interdimensionali, che costituivano la rete di trasporto dell’energia, erano percorsi dai condotti cristallini chiamati “posatori” ed erano connessi fra loro in punti strategici grazie ad aste d’oro e rame collocate in cupole sferiche.

Le aste potevano essere inclinate a piacimento per ricevere onde energetiche gravitazionali stellari e solari.

La seconda Luna di Atlantide, così veniva chiamata, era un grandissimo satellite fluttuante nel cielo lasciato in eredità dai Lemuriani che riceveva, amplificava e restituiva ai cristalli dei posatori, l’energia prodotta.

Il sistema dei posatori dava energia ad ogni attività di Atlantide, alle case, alle scuole, agli ospedali, ai Templi e provocava nel contempo un senso di benessere e vigore negli abitanti.

Il compito di Amiroth in quell’occasione richiedeva molta abilità ed attenzione e sarebbe durato fino a mezzanotte, ora in cui aveva termine la congiunzione di Bolimeth.

Dopo qualche tempo fu raggiunto dagli altri cinque maghi della Confraternita.

Avevano portato con sé grosse ceste di provviste carpite dai tavoli imbanditi del mondo festante sopra le loro teste.

«Amiroth amico mio, non si vive di solo Spirito sai? Mangiamo qualcosa insieme! Si occuperà Bethet di tenere sotto controllo la macchina. Immagino tu abbia fame.» scherzò Paloth, un uomo pacioso dagli occhi grandi e sporgenti ed il volto tondo come una luna piena.

Amiroth si voltò verso gli amici sorridendo e lasciando con gratitudine al compagno la gestione dei meccanismi della macchina.

«Ho una fame terribile! Pensavo vi foste persi dietro qualche giovane maga e dimenticati di me.»

Risero all’unisono, divertiti da quella battuta sui piaceri della carne che per loro riguardava un passato ormai lontano e privo d’attrazione.

La gerarchia nel Tempio era di tipo circolare: ogni membro, pur ricoprendo uno specifico ruolo, aveva pari dignità e potere.

Amiroth era il Sommo Mago, ma il suo compito si limitava alla coordinazione e le decisioni importanti venivano prese dai Dodici riuniti attorno alla tavola rotonda della Sala del Consiglio.

Si sedettero davanti ad un piccolo tavolino fluttuante nella nebbia azzurrina e si avventarono sul cibo come bambini.

Si conoscevano da sempre e la conversazione si protrasse in modo piacevole, favorita dalle generose dosi d’idromele che contribuivano notevolmente a rallegrare gli animi; dai discorsi tecnici passarono a quelli riguardanti il successo della festa:

«Il Tempio era pieno quest’anno… sembra che i giovani ribelli che tanto avevano protestato l’anno scorso siano venuti a più miti consigli.» osservò Paloth.

«Per forza» l’interruppe Moheroth «avergli tolto l’energia per dimostrarne l’importanza nella vita collettiva è stata una mossa astuta. A volte non ci si rende conto di quello che si possiede fintanto che non lo si perde. Credo che per un po’ non avremo più problemi da quel punto di vista.»

I cinque seduti attorno al tavolo imbandito risero di gusto, la decisione di limitare al minimo indispensabile l’energia verso i luoghi abitati dai ribelli era stata accolta con proteste veementi dalla popolazione.

Quando però i giovani si accorsero che la loro stessa energia individuale dipendeva dalla Fonte iniziarono a dubitare delle loro idee.

Cercarono comunque di resistere, avvertendo una rabbia crescente nei confronti dell’egemonia dei Dodici. Dopo poco tempo, uno di loro s’ammalò di una patologia che Atlantide non aveva mai conosciuto: gli anticorpi avevano intrapreso una guerra contro il suo stesso sistema immunitario e il giovane passò l’inverno in preda a violenti attacchi febbrili. Divenne così astenico da non riuscire più ad alzarsi dal letto. La mancanza di conoscenze mediche appropriate gli fece comprendere l’importanza del collegamento con la Fonte che aveva sempre dato per scontato.

I giovani ribelli non chiesero aiuto per orgoglio, ma la loro determinazione si spense davanti ad un attacco febbrile più violento, che portò l’ammalato vicino alla morte.

La resa ai maghi fu incondizionata e segnata da una nuova consapevolezza, l’energia fu riconcessa ed in poco tempo ristabilì la salute dell’invalido.

La mancanza d’esperienza dei giovani atlantidei rimaneva uno dei principali problemi di ordine pubblico e si ripresentava ciclicamente. Avevano conosciuto solo il benessere dell’energia donata dalla Fonte e le usanze e le attenzioni dei Maghi del Tempio sembravano loro eccessive.

Era stata una dura lezione di vita che i Dodici non avrebbero voluto mettere in atto, ma era importante tramandare la sapienza della Fonte alle giovani leve con le buone o con metodi meno ortodossi.

Le ore passarono veloci ed i maghi si alternarono ai comandi della macchina di espansione, discutendo e ridendo fra loro per permettere al tempo di passare senza noia.

Quando giunse la mezzanotte tirarono un sospiro di sollievo: tutto era andato magnificamente e per l’anno seguente ad Atlantide era stata assicurata una quantità formidabile d’energia che la macchina si sarebbe occupata di rilasciare poco alla volta.

Dopo essersi occupati degli ultimi dettagli si unirono ai festeggiamenti ancora in atto nelle vie di Keor. 

Amiroth Sommo di Atlantide ESCAPE='HTML'

Amiroth cercò d’individuare tra la folla la compagna e la trovò poco dopo, intenta a discutere animatamente con Rechel. Quando le due donne percepirono la sua presenza si voltarono all’unisono.

Il sorriso di Amiroth si spense nell’osservare i loro volti preoccupati:

«Tutto a posto?» chiese incuriosito. «La macchina è carica e non ci sono stati problemi tecnici da risolvere. Ma voi sembrate turbate… è accaduto qualcosa nel frattempo?» corrugò la fronte e fissò Monràh che ricambiò lo sguardo con franchezza.

«C’è qualcosa di cui dobbiamo discutere, ma non in questo momento. Voglio che questa giornata si concluda nel migliore dei modi. La gente è felice e anche gli abitanti del Tempio sono sereni. Ce ne occuperemo domani tutti insieme.»

Amiroth riuscì a frenare la propria curiosità abbandonandosi con fiducia alle decisioni della donna che amava. Era inoltre consapevole dell’importanza di lasciare che gli eventi dell’esistenza si srotolassero davanti agli occhi, secondo i tempi e i modi che gli Dei ritenevano opportuni.

Invitò Monràh e Rechel ad assistere allo scoppio degli ultimi fuochi d’artificio e si mescolarono fra la gente che non si era ancora stancata di festeggiare.

Rimasero per un po’ ad osservare le persone ballare ed ammirarono il manto nero del cielo mentre veniva illuminato da scoppi di luci e forme multicolore.

Amiroth invitò Monràh ad unirsi alle danze e lasciarono gli impegni gravosi del loro ruolo, sostituendoli con quel momento di spensieratezza.

«Posso ballare con la tua compagna?»

Un’imperiosa voce maschile attirò l’attenzione della coppia: era Thotme che li stava guardando con aria interrogativa e leggermente ironica.

«Ah, sei tu vecchio mio!» gli rispose Amiroth. «Una volta all’anno credo di poterti accontentare! Te la cedo, ma non abituarti… è preziosa per Keor… ma questo lo sai bene. E tu, mia cara» si rivolse al volto sorridente di Monràh «cerca di non lasciarti sedurre dal fascino di quest’individuo! Sai bene quante sono cadute sotto le sue grinfie…»

I tre risero di gusto e Thotme prese fra le braccia la Somma per ballare al ritmo delle note di un lento che lasciava spazio alla discussione.

Monràh non aveva alcun problema a gestire gli uomini, neppure uno potente e seduttivo come il Gran Maestro Nero.

«È andata bene quest’anno!» esordì il mago.

«Direi di sì!» rispose con cautela. «Non ci sono stati particolari problemi ed anch’io mi sono potuta godere la festa. L’anno scorso è stato più impegnativo…»

Thotme immerse gli occhi verde smeraldo in quelli neri e profondi di lei e Monràh avvertì una sensazione di disagio, ma, sentendosi protetta dalla propria esperienza, non vi diede peso.

“Sarà la stanchezza” si disse per rassicurarsi.

«Ho visto tua figlia, sta fiorendo proprio come la primavera. Devi essere molto orgogliosa di lei.»

La Somma sorrise compiaciuta d’amore materno, dimenticando per un attimo chi stava pronunciando il complimento.

«È una brava ragazza, diventerà una buona maga e probabilmente se s’impegnerà molto, potrebbe avviarsi all’Oltre. Sappiamo bene che queste cose non si comandano, ma come tutte le mamme, per quanto io sia la Somma, desidero il massimo per lei! Sarà quel che sarà…» concluse distogliendo lo sguardo dall’uomo e lasciandolo vagare in un punto indefinito all’orizzonte.

Thotme replicò, divertito da quelle parole.

«Il più grande dono che gli Dei ci hanno regalato è la capacità delle madri di vedere il meglio nei loro figli! Ti auguro tuttavia che il tuo desiderio sia profetico. Mi sarebbe piaciuto avere una donna come te accanto, ma quel volpone di Amiroth si è preso il meglio…»

Monràh sorrise alla vacuità delle parole di Thotme, che potevano aver presa nella maggior parte delle donne, ma non in chi era così avanti nel processo di ascensione e destinata all’Oltre.

Per gentilezza verso il suo interlocutore intavolò argomenti più generali riguardanti il governo dei Neri.

«Pensi che le attività commerciali di Keor avranno ancora problemi? Quel gruppo di Barbari ha cercato di tagliare la via dello Stretto di Eschis per impedirci il commercio, ma siete stati abilissimi nel riportare l’ordine. Abbiamo comunque perso dei carichi preziosi e dovremo cercare di rinforzare i nostri punti d’osservazione nel territorio barbarico, in modo da prevenire altri attacchi.»

Il Mago Nero assentì con serietà.

«Abbiamo pensato d’aumentare i punti di osservazione anche se non sarà semplice farci accettare in modo massiccio al Nord. Lì sono più evoluti rispetto al resto dei Barbari. Ho già organizzato tutto con l’esercito per affermare il nostro dominio ai confini di quelle terre e quello che gli proporremo sarà molto vantaggioso per loro. Se non riusciremo con le offerte saranno le nostre armi a convincerli, ma non credo si arriverà a tanto: hanno troppa paura di noi. Sono attratti dalla nostra cultura, ma la temono e quando vedono la superiorità delle nostre armi e del nostro esercito si spaventano. Le nostre abilità magiche poi, li terrorizzano. Per ora è tutto sotto controllo… anche se qualche coraggioso ogni tanto tenta di sfidarci.»

«Se dovessi avere problemi sai che anche al Tempio possiamo darti una mano o dei semplici consigli.»

Thotme si irritò per la presunzione della sua interlocutrice, ma non lo diede a vedere. Lui era il Gran Maestro Nero ed un gruppo di popolazioni primitive non costituiva certo un grosso problema.

“Se sapessi, cara la mia Somma Maga, che sei solo tu e quello stupido del Tempio il vero problema a cui mi sto dedicando” pensò.

«Senza ombra di dubbio… nel caso ci fossero problemi che non riuscirò a gestire chiederò il vostro aiuto.» affermò invece.

«Voi due avete deciso di escludermi completamente? Caro amico, vuoi riconcedermi la mia signora? La festa sta terminando e desidererei un ultimo ballo con lei!» La calda voce di Amiroth s’interpose nella discussione.

Thotme s’inchinò ai Sommi in segno di commiato e raggiunse il gruppo di Neri che stava abbandonando i festeggiamenti ormai giunti agli sgoccioli.

«Che cosa vi stavate dicendo? Sembravate molto presi dalla conversazione.» chiese incuriosito Amiroth,

«Ha finto d’ascoltare le mie proposte, ma era evidente che non gli interessava assolutamente ciò che stessi dicendo. Mi ha… non so come dire… mi ha parlato di Mahina con un tono che non mi è affatto piaciuto.»

«Mahina?» Amiroth sollevò un sopracciglio in segno di perplessità. «Pensi abbia in mente qualcosa? È talmente lontana da lui che mi meraviglio l’abbia anche solo nominata. Sai che preferisce donne di grande potere come te perché è in grado di convogliarlo su sé stesso.»

«Lo so, per questo mi ha stupita che l’abbia menzionata… anzi… che si sia anche solo accorto di lei. Ma probabilmente sono stanca ed è stata una giornata davvero faticosa. Ora che ci penso, oggi non ho quasi mai visto nostra figlia.»

Monràh si voltò verso Rechel che stava parlando concitatamente in un gruppetto di donne.

«Rechel hai visto Mahina da qualche parte?»

«L’ho incontrata qualche ora fa mentre andava nel suo alloggio al Tempio, stai tranquilla. Credo abbia bevuto un pò più del normale, ma non mi sembrava in pericolo!»

Monràh sorrise all’allusione espressa dalla mimica facciale dell’amica che scherniva la sua eccessiva apprensione.

«Penso che andrò a salutarla, oggi l’ho davvero trascurata. Mi sembrava felice stamattina e magari starà già dormendo.»

I Sommi s’incamminarono lentamente verso il Tempio, sentendo attenuare progressivamente alle loro spalle gli ultimi sprazzi di festeggiamenti.

Si separarono per andare ognuno nelle proprie stanze e Monràh si recò da Mahina, bussando con delicatezza alla porta. Non udendo risposta l’aprì provocando un rumoroso cigolio dei cardini e si avvicinò al letto. La figlia dormiva placidamente e guardandola in volto si accertò che non avesse segni che potessero dare adito ai suoi timori. Le accarezzo con dolcezza i riccioli biondi, in un gesto che compiva da quando era nata e la lasciò con animo più tranquillo fra le braccia di Morfeo.

In realtà Mahina era sveglia. Non era ancora riuscita a prendere sonno, ma udendo la madre e non volendo in alcun modo parlare con lei in quelle condizioni, aveva finto di dormire.

Il tocco di Monràh la faceva sentire al sicuro, ma il potere materno non l’avrebbe potuta salvare se il suo segreto fosse venuto alla luce.

Sperava con tutto il cuore nel silenzio di Saros, ma non lo conosceva abbastanza e sinceramente non aveva una grande opinione di lui.

Era un giovane dall’ego smisurato, in grado di corteggiare una ragazza e d’imbambolarla con le parole, ma dietro la sua abilità oratoria intravedeva un vuoto di contenuto che non lo rendeva attraente ai suoi occhi.

Eppure la sua vita dipendeva da lui.

Non aveva intenzione di sposarlo questo era certo ed anzi provava un forte senso di repulsione verso di lui.

L’immagine mentale di Saros richiamò quelle dell’amplesso e le provocò un rinnovato senso di vergogna che non le permise d’addormentarsi.