12) In viaggio

Regina ESCAPE='HTML'

Regina, la nave che ospitava i tre clandestini, era pronta per salpare e le urla dell’equipaggio risuonavano echeggiando e superando il frastuono ordinario del porto.

Il manipolo di militari adibito alla cattura di nuovi schiavi si godeva le manovre di partenza, appoggiato al bordo della nave.

Il capitano di Regina era un uomo mingherlino di mezz’età, con il volto perennemente abbronzato e solcato da profonde rughe. Curava in modo maniacale i lunghi baffi rigirandone le punte a chiocciola, in un gesto costante che rivelava i momenti di maggior tensione.

In quel momento era fermo in mezzo al ponte della nave, con le dita fra i baffi ed un cipiglio minaccioso ed urlava ordini secchi e perentori che gli uomini dell’equipaggio s’affrettavano ad eseguire.

«Vuoi togliere quella maledetta passerella o pensi che lo farà da sola? Forza… e tu, sciogli l’ormeggio a prua! Le vele sono pronte? Muovete il sedere branco di verginelle!»

In realtà non c’era nulla che non andasse, ogni uomo lavorava in perfetta sinergia con gli altri, l’ancora era stata issata a bordo, le vele erano ammainate al loro posto, il timoniere era pronto a virare.

«Fermate subito ogni manovra!»

Tutti gli uomini si voltarono stupiti verso il plotone di militari armato che si era fermato con decisione davanti a Regina.

Il capitano ordinò l’immediata sospensione di ogni manovra e rivolgendosi alle guardie chiese:

«Qual è il problema? Siamo in regola con le licenze, non abbiamo praticamente alcun carico importante. È un viaggio per raccogliere nuovi schiavi! Vedete?» indicò il piccolo esercito che osservava incuriosito l’improvvisa interruzione.

«Dobbiamo ispezionare tutte le navi in partenza comandante, non ci sono eccezioni. È un ordine che proviene direttamente da Mhanna e Thotme.

«Fate salire!» ordinò il comandante ai suoi uomini che prontamente calarono la passerella ancorandola alla banchina.

I soldati salirono a bordo di Regina nel silenzio attonito dell’equipaggio della nave, che infastidito, sopportava impotente l’invasione.

Non avvenivano quasi mai perquisizioni alle navi perché nessuno si sognava di violare le regole imposte dalla Confraternita dei Neri, sapendo che le loro arti occulte significavano per il trasgressore, una morte certa ed orribile; era un regno che manteneva un perfetto ordine grazie al terrore.

Il capitano di Regina si stagliò davanti al comandante dei militari che lo sovrastava di parecchi centimetri e lo guardò dritto negli occhi: non era un uomo che aveva paura, era avvezzo ad ogni genere di situazione.

«Potete perquisire la nave, ma vi pregherei di non dilungarvi troppo: la marea è a nostro favore ora, se ritardiamo potremmo avere più difficoltà.»

«Capitano, comprendo perfettamente le vostre esigenze e sono certo che non troveremo qui quello che stiamo cercando! No…» alzò la mano in un gesto perentorio per interrompere ogni tentativo di replica «...non aggiunga altro, non sono autorizzato a fornirvi ulteriori spiegazioni!»

Il capitano si fece da parte lasciando che gli uomini della guardia si sparpagliassero per la nave alla ricerca di quel qualcosa di misterioso che le autorità dei Neri stavano cercando.

Otre si appianò alla parete della nave quasi a volersi rendere invisibile.

“Possibile che siano i miei clandestini il motivo dell’ispezione?” si chiese. “Uno schiavo e due Intoccabili di certo non scomodano le alte gerarchie della Confraternita a meno che Trascus mi abbia mentito.”

Si ripromise di andare più a fondo nella vita dei suoi ospiti, ma in quel momento aveva troppa paura che li scoprissero per perdersi in inutili elucubrazioni mentali.

Fortunatamente nessuno stava facendo caso a lui e scivolando come un serpente, s’avviò verso la cambusa per avvertire i clandestini.

Trovò le botti ancora chiuse e la cambusa avvolta in un silenzio tombale.

«State zitti ed immobili ci sono i soldati dei Neri nella nave, la stanno ispezionando. Voi c’entrate qualcosa?»

Trascus s’affrettò a rispondere dalla botte, sollevato dalla mancanza di visibilità che non permetteva ad Otre di vederlo negli occhi e di accorgersi della paura che stava provando.

«Sono uno schiavo Otre e loro sono due Intoccabili. Siamo interessanti per i Neri quanto delle uova di gallina. Lo sai bene!»

«Certo che se vi trovano qui è ininfluente che non stiano cercando voi, il capitano mi farà a fettine. Quindi state zitti e lasciate fare a me!»

Accostò alle botti incriminate alcune casse di vettovaglie e vi depose sopra diversi sacchi di farina, ma sapeva che con un’ispezione accurata non avrebbe avuto scampo. Non gli restava che affidarsi alla sua buona stella.

Tre soldati non gli permisero di finire il pensiero ed entrarono con fragore in cambusa, iniziando un’ispezione accurata che li avrebbe sicuramente condotti alla scoperta del nascondiglio dei clandestini.

«Qui, apriamo queste casse ed anche quelle botti.» disse una delle guardie.

Iniziarono ad aprirle una alla volta e Trascus si preparò al combattimento sapendo che per loro era finita. Non gli importava, non si sarebbe fatto prendere vivo, non avrebbe permesso alla strega di torturalo ancora una volta.

Mahina piangeva silenziosamente accucciata nella botte sentendosi terribilmente in colpa per il destino che sapeva i Neri avrebbero riservato agli amici!

«Ragazzi venite!» Un soldato irruppe nella cambusa ed interruppe l’ispezione.

«Il comandante ci vuole tutti riuniti sul ponte, sembra abbiano trovato qualcosa in una nave.»

«Tanto qui è tutto a posto, la cambusa è pulita!» replicò uno di loro.

Otre li salutò sollevato nel vederli scomparire oltre la porta. Li seguì sul ponte in tempo per vedere il comandante che si accomiatava da Regina.

«Capitano è tutto a posto! La nave è pulita, siete liberi di salpare. Mi scuso per il contrattempo e vi auguro buon viaggio!»

«La ringrazio comandante!» gli rispose accompagnandolo fino al bordo della passerella. Rimase ad osservare i soldati che sbarcavano continuando ad arricciarsi la punta dei baffi. Quando anche l’ultimo dei militari fu sceso impartì nuovamente gli ordini.

«Forza ragazzi, si salpa! Issate la passerella a bordo e togliete gli ormeggi!»

Regina si staccò con grazia dalla banchina e con un’elegante virata s’immise al centro del porto iniziando il suo viaggio.

Otre era sceso nuovamente in cambusa e quando avvertì il fruscio dell’acqua infrangersi contro la prua, si permise di rilassarsi.

«Gran figlio di buona donna…» bofonchiò aprendo le botti e rivolgendosi a Trascus «puoi ben ben dire di essere nato sotto una buona stella. A quanto pare gli Dei ti stanno proteggendo! Mi sarebbe dispiaciuto rinunciare all’oro, dico la verità ma ancora di più finire tra le fauci degli squali! Il capitano non mi avrebbe certo perdonato se avesse scoperto che sto nascondendo dei clandestini! Venite fuori, forza! Il pericolo è passato!»

Mahina e Gelkares uscirono dalle botti con sollievo, sgranchendosi gli arti intorpiditi. Erano decisamente sollevate e Trascus strinse la mano ad Otre in segno di ringraziamento.

«Sei un vero amico Otre!»

«Che ne dite ragazzi di un goccetto per festeggiare? Lo sentite il canto di Regina che va incontro alle onde?» replicò questi allegramente.

Versò da bere agli ospiti godendo dello scampato pericolo e si riempì fino all’orlo il proprio boccale!

«Alla nostra salute ed all’oro!» brindò sollevando il bicchiere e trangugiando tutto d’un fiato l’idromele. Ruttò rumorosamente sospendendo il pensiero mentre fissava le due ragazze. Gelkares spezzò l’ispezione girandogli le spalle.

«Dove ci metteremo?» gli chiese.

«Mia piccola colombella credi di avere a che fare con uno sprovveduto? Ho pensato a tutto, ma credevo di avere il tempo per preparare il vostro nascondiglio. L’ispezione non l’avevo contemplata, non è mai accaduto da quando faccio questo mestiere. Vedi quelle assi?» indicò un gruppo di lunghe tavole di legno accatastate a ridosso della parete.

«Creeremo un tramezzo a ridosso del boccaporto che vi lascerà abbastanza posto per distendervi ed aria per respirare e svuotare il vaso dei vostri bisogni. Mi raccomando non controvento o vi torna indietro.»rise. «Nessuno si accorgerà di niente, per fortuna la cambusa è molto grande e comunque chiunque venga quaggiù senza il mio permesso sa di rischiare la vita.»

Si fermò un attimo fissando con intensità Mahina che distolse gli occhi imbarazzata. Poi come a rispondere ad un suo discorso interiore scrollò le spalle e sorridendo si versò altro idromele.

«Alla vostra salute e che questo viaggio sia foriero di ricchezza per tutti noi!» brindò.

«Ahhhh… che meraviglia, il nettare degli Dei! Trascus amico mio, che ne dici d’iniziare a costruire la parete?»

«Certo Otre e grazie ancora!»

Si mise al lavoro sollevato per il movimento che gli permetteva di sgranchirsi le gambe. Le ragazze l’aiutarono seguendo scrupolosamente le sue indicazioni, ma sentendosi decisamente inadeguate.

«Io devo preparare il pranzo per l’equipaggio. Agli orari dei pasti dovrete nascondervi e stare zitti perché i mozzi vengono ad aiutarmi per la distribuzione.»

«Certo Otre, non avrai problemi vedrai!» rispose Trascus mentre fissava con dei chiodi un’asse all’altra.

«Lyla… c’è qualcosa che non va?» Gelkares fissò con preoccupazione l’amica che era visibilmente impallidita.

«No, no… va tutto bene! È solo un po’ di malessere…» la rassicurò sedendosi su un sacco di farina in un improvviso calo di pressione.

«Per mille diavoli, non dirmi principessa che soffri il mal di mare? Dovrai rassegnarti sai? Non potrai andare in nessun caso sul ponte, penso sia evidente!»

«Stia tranquillo Otre, è stato solo un attimo, forse la stanchezza. Non ho mai sofferto di mal di mare e non è la prima volta che viaggio in una nave grande come questa! Sto già meglio, vede?» confermò le proprie parole alzandosi e tornando al lavoro.

Otre s’accertò della veridicità di quelle parole e borbottando tornò ad occuparsi del grosso pentolone di carne bollita che aveva davanti.

«Stai bene?» sussurrò Trascus.

«Sì, va tutto bene, non preoccupatevi! Sta venendo benissimo ed avremo abbastanza posto per stare comodi!» rispose per deviare l’attenzione verso un argomento impersonale.

In effetti Otre aveva avuto una bella idea, il tramezzo aveva creato una nicchia abbastanza grande da contenere comodamente tre giacigli. Per nasconderla ad occhi indiscreti vi addossarono tutto quello che trovarono a disposizione, dai sacchi di farina, alle botti, alle casse di cibo e lasciarono una piccola apertura d’accesso in un’angolatura quasi invisibile.

«Potete stare qui fuori, non è necessario rimanere sempre nascosti: i ritmi d’una nave sono precisi e non ci sono pericoli d’intrusione fuori orario.» Otre osservò soddisfatto l’opera terminata.

«Non vi ho creato una reggia? E tu vecchio volpone dormirai con due ragazze contemporaneamente, ritieniti fortunato!»

Risero tutti divertiti di fronte all’illazione, si sentivano più rilassati, la situazione si era stabilizzata e rimaneva solo l’attesa del viaggio.

«Se il vento sarà favorevole usciremo dallo Stretto di Eschis verso le quattro di domani mattina e in un paio di giorni attraccheremo al porticciolo di Pir. Da lì mi porterai all’oro, vero Trascus?» Gli occhi di Otre trafissero con intensità Trascus che lo rassicurò con un cenno del capo.

«Che ne dite ragazze d’aiutarmi a pelare le patate? Credo che non vi dispiacerà un po’ di lavoro!»

Gelkares e Mahina sorrisero ed accettarono l’invito contente di essere utili. Trascus si fermò in disparte per soppesare l’atteggiamento di Otre che in più occasioni aveva indugiato sul volto di Mahina. Che l’avesse riconosciuta? La ragazza si stava rivelando un grosso problema tanto da farlo sentire pentito d’averla accolta fra loro. L’idea originale includeva solo Gelkares, l’avrebbe portata a conoscere la sua tribù d’origine e sarebbe diventata una di loro. Non aveva avuto dubbi su di lei, era una ragazza forte e bella e sicuramente gli avrebbe dato diversi figli.

Mahina era un’altra faccenda, era decisamente intelligente, ma in quanto a forza dubitava ne avesse a sufficienza.

Guardò le morbide curve femminili della ragazza che per quanto fossero nascoste dal vestito informe degli Intoccabili, non riuscivano a non emergere. Era davvero incinta come aveva detto il soldato al tunnel? Sarebbe stato un ulteriore problema, li aspettava un viaggio di almeno tre mesi se non più e una zavorra di tal portata non era certo l’ideale.

L’attenta analisi di Trascus costrinse Mahina a voltarsi verso la fonte di quell’energia. Trascus distolse imbarazzato lo sguardo ripromettendosi di fare più attenzione: si era dimenticato che aveva a che fare con un’aspirante Iniziata. Il suo lignaggio l’aveva sicuramente dotata di poteri preclusi alla maggior parte delle persone e questo era un punto a suo favore che avrebbe potuto rivelarsi utile.

Trascus era un uomo abituato al duro lavoro, ad affrontare ogni avversità e ad analizzare ogni situazione nel dettaglio; aveva sviluppato qualità specifiche per sopravvivere ad un destino sfavorevole.

Mahina lo raggiunse, si sedette accanto a lui e lo guardò negli occhi con dolcezza.

«Credo di capire cosa provi Trascus e credimi non avrei mai voluto essere un peso per voi.»

Il ragazzo provò un’inspiegabile formicolio alla nuca e si perse nello sguardo liquido di lei.

«Farò di tutto per non esservi d’intralcio e mi adatterò ad ogni tuo ordine perché sono consapevole di essere una sprovveduta: non ho mai dovuto procurami cibo, abiti od un tetto sopra la testa. Voglio anche dirti che se dovrai scegliere se sopravvivere o lasciarmi indietro non dovrai in alcun modo sentirti responsabile per me, quello che hai fatto fino ad ora è già tantissimo.»

L’umiltà e la dolcezza delle parole di Mahina lo colpirono in profondità: non era così facile rendersi piccoli quando si era vissuti nel privilegio.

I Bianchi erano famosi anche nella Terra dei Barbari proprio per le grandi doti umanitarie che dimostravano in ogni frangente. Il loro potere non era basato sull’ego, ma sull’amore; non era un’autorità rivolta agli altri, ma verso se stessi.

Non aveva mai conosciuto un Bianco da vicino, la schiavitù non era ammessa nei loro Distretti, ma sapeva che questi ultimi cercavano in tutti i modi di contrastare quel tipo d’abuso. Aveva sentito parlare delle loro gesta colme d’amore ed anche se non avevano facoltà di sconfinare nelle scelte dei Neri, non si risparmiavano per contrastarle laddove potevano. Atlantide era una popolazione molto strana secondo il punto di vista di Trascus, con una divisione molto netta fra Bianchi e Neri e nessun punto di congiunzione come invece accadeva nel territorio dei Barbari, fra le varie tribù.

Sembrava essere un’isola a parte nel suo complesso, una dimensione reale eppure staccata dal resto del mondo, con i Bianchi votati al bene ed alla magia bianca ed i Neri al loro contrario. Erano come due estremi di uno stesso continuum che andavano in direzioni opposte senza potersi toccare mai e Trascus non riusciva in alcun modo a comprendere questa loro incapacità di uscire dai binari d’un destino tracciato fin dalla nascita. Per il suo popolo era diverso, non erano evoluti, né avevano la loro conoscenza, ma nascevano liberi da qualsiasi vincolo preimposto.

“Ma è davvero così? Sono davvero libero di scegliere chi e cosa essere?” si interrogò riflettendo sulla propria condizione di schiavo che lo aveva spesso costretto ad azioni che non avrebbe mai compiuto da uomo libero.

Trascus sorrise perdendosi nello sguardo limpido di Mahina che lo stava fissando in attesa d’una risposta.

Le prese le mani fra le sue provando piacere al contatto della pelle vellutata.

«Non sono un uomo che ha paura delle difficoltà, non è questo il problema.»

La ragazza tremò e realizzò in quel momento che Trascus non gli era indifferente e non dipendeva solo dall’aspetto esteriore, peraltro molto piacente, ma dall’energia al contempo forte ed accogliente che emanava.

«Immagino tu abbia passato di tutto vivendo fra i Neri e se un giorno avrai voglia di raccontare, ti ascolterò volentieri. I miei genitori non mi hanno mai spiegato cosa accade nei Distretti gestiti dalla loro Confraternita, ho solo sentito qualche storia, ma non è tutta la verità. Sono segreti che possono essere rivelati solo agli Iniziati di grado avanzato proprio per la difficoltà ad elaborare ciò che i Neri compiono ai danni dell’umanità.»

«È vero, confermo!» Trascus abbassò lo sguardo colmo di vergogna al ricordo della vita condotta fra di loro.

Sentì che la gola si stringeva in una morsa di disperazione quando il pensiero del fratello cercò d’emergere dall’angolo più buio della sua anima. Scrollò la testa con furore disperato.

«Non sono avvenimenti che ho voglia di raccontare! Ci sono cose che ho fatto… che mi ha fatto fare quella megera… che mi riempiono di vergogna!»

«Ma… non devi…»

«No!» la costrinse al silenzio con un gesto della mano «È meglio non addentrarci in questo territorio credimi, meglio per me ed anche per te!»

Mahina avvertendo la sofferenza compressa nel cuore di Trascus e celata dalle parole non dette, abbassò lo sguardo senza insistere ulteriormente.

Decise che doveva alleggerire la tensione che si era creata fra loro.

«Magari sarò io a farti sognare con i racconti della vita al Tempio di Smeraldo, che ne dici? È un posto magnifico e mi rendo conto di quanto fortunata sia stata nella vita.»

Un nuovo formicolio attraversò la spina dorsale di Trascus, davanti al sorriso della ragazza.

«Ehi piccioncini…» Gelkares piuttosto irritata s’interpose fra loro ed interruppe l’alchimia che aveva avvinto i due giovani. «...cosa state confabulando?»

«Gelky piccola, vieni qui!» cercò di sdrammatizzare Trascus colto da un lieve senso di colpa. «Non hai nulla da temere, stavo solo spiegando alla principessa la vita che condurremo una volta sbarcati! Non sarà facile né per lei, né per te!» concluse.

Le schioccò un sonoro bacio sulla guancia che riuscì ad allontanare la nuvola grigia che le aveva oscurato gli occhi.

Mahina si fece da parte non volendo provocare alcun conflitto fra gli amici, ma il cuore stretto in una morsa sembrava prendersi gioco del suo fermo proposito.

“Mi sono innamorata di lui?” si chiese andandosi a coricare nel proprio giaciglio. “È davvero questo l’amore di cui tanto si parla, questa sensazione di felicità e d’infelicità insieme?”

Avvertì il bisogno di piangere, ma lo bloccò sul nascere per non mostrare la propria fragilità agli amici, ma soprattutto, a se stessa.

Li ascoltò parlare fittamente da dietro la parete di legno ed invidiò la loro intimità, ma era lei l’intrusa ed era giusto che si facesse da parte. Si sentiva spezzare il cuore davanti alla perdita d’un sentimento appena germogliato, ma non poteva in alcun modo infrangere i propri principi di vita.

«Ragazzi nascondetevi, è ora di pranzo i mozzi saranno qui a momenti!» li avvertì Otre e le parole furono avvalorate quasi nello stesso istante da un trambusto all’esterno della cambusa.

Era il battesimo di fuoco per provare l’efficacia del loro nascondiglio.

«Otre me lo daresti un goccetto prima di pranzo?» la voce del mozzo era quella d’un adolescente, ma il cuoco non si fece problemi e gli riempì il boccale d’idromele, versando anche a se stesso una generosa razione.

«Otre, che gli Dei ti benedicano! Cosa hai preparato di buono oggi? Ho una fame che mangerei anche te!»

«Caro ragazzo non devi preoccuparti per la qualità della mia cucina, hai davanti a te il miglior cuoco di tutte le navi di Atlantide!»

«Ci sono i soldati che sembrano delle ballerine!» gli confidò il ragazzo divertito.

«Stanno beati a prendere il sole come se si trovassero in crociera! Sono davvero in grado di combattere?»

«Non sottovalutare quegli uomini! Abbiamo trasportato con questa nave tanti di quegli schiavi che nemmeno immagini! Ti racconteranno loro vedrai, la tua sete di sangue sarà appagata. Quello che fanno ai componenti delle tribù che si oppongono è così atroce che ti occorreranno dieci bottiglie di queste per riuscire a dormire…»

La cambusa si riempì delle grasse risate dei due marinai ed Otre allungò un altro boccale ad entrambi prima d’iniziare a distribuire i pasti.

Ci volle quasi un’ora prima che il cuoco desse il via libera ai clandestini che nel frattempo, avevano mantenuto un rigoroso silenzio nascosti dietro al tramezzo.

«Uscite pure ragazzi! È andata benissimo, nessun sospetto! La traversata sarà una passeggiata.»